Da Taiyuan a Pingyao

16 agosto - Partiamo tutti con il pulman delle 9 per Taiyuan. Avrei una mezza intenzione di dirigermi a un paesino sul Fiume Giallo dove si trovano abitazioni troglodite. Potrebbe essere una ottima occasione per addentrarmi nella campagna, ma quando scopro che il viaggio dura sei ore, mi vedo costretto a desistere. Così, dalla stazione degli autobus dove ero faticosamente arrivato, torno all'altra stazione centrale e da lì mi instrado per Pingyao. Là probabilmente incontrerò di nuovo i compagni di viaggio.

Poche ore di passaggio a Taiyuan mi sono state sufficienti per nausearmi. Passare una notte qui sarebbe un supplizio: è una città opprimente, afflitta dal cancro della brutale trasformazione che è in corso in tutta la Cina. Stanno solo costruendo grossi edifici che si affiancano a quelli già presenti; appare una sfrenata modernità e il lato più consumistico della città permea tutto lo spazio abitato e trasforma il paesaggio urbano. Questi stravolgimenti, più di quello che fecero la rivoluzione politica e poi la tremenda rivoluzione culturale, stanno relegando il retaggio storico a posti come Wutaishan. E là sarà trattata come una risorsa economica da sfruttare il più possibile, complice la legge dei grandi numeri.

Da Sul pulman per Pingyao una signora inizia con me una conversazione di un candore disarmante, punteggiata di risatine leggere. Con atteggiamenti che non ci aspetterebbe da una persona adulta, mi costringe a visionare l'immenso archivio fotografico sul suo telefono, fatto di scatti ripetuti agli stessi soggetti. Davanti ai monumenti abbondano le foto "alla cinese", ossia nelle pose più infantili. Quando non capisco una parola, disegna il carattere sul telefono come se potesse essermi di aiuto. Lei è commerciante di vestiti, sposata e con figlie, e va a Pingyao per seguire un corso con delle amiche. Vuole che ci si scambino numeri di telefono, di qq, e chi più ne ha, più ne metta, proprio come tra ragazzini.

All'arrivo ho un'impressione gradevole. La città è racchiusa in un giro di mura e le case storiche sono abitate, quindi vi si svolge la vita quotidiana. Soprattutto al mattino, quando il movimento di turisti è ancora sopito, le biciclette percorrono la strada centrale; gli anziani stanno seduti a contemplare la gente e la vita che passa. Per le strade laterali poi, dove non ci sono attrazioni turistiche, la città è tutta dei suoi abitanti. Tra queste case basse, al ritmo di una vita che non conosce il traffico, si svolgono le vite delle famiglie. Da molti portoni si intravedono cortili e androni ingombri di attrezzi, motorini, formelle di carbone per la cucina. I visi degli anziani sono espressivi e autentici.

Certamente la via principale ha una spiccata dimensione turistica, con numerose insegne commerciali che si stagliano su facciate pesantemente restaurate, ma ormai sono sceso a compromessi con me stesso e non ne sono disturbato oltre modo. Inoltre, venendo da Taiyuan, qualsiasi posto mi parrebbe un paradiso.

Di sera, fuori dalla porta meridionale si sta montando una festa, con un palco illuminato da fari e tante sedie per gli spettatori. La gente affluisce per assistere all'inizio imminente. Sembra quasi, qui in questo parco, che si viva la vita del villaggio, sebbene anche Pingyao abbia il suo bel mezzo milione di abitanti.

Vengo avvicinato da alcuni ragazzini, con cui avvio una conversazione di presentazione, mentre vediamo le prime esibizioni che sembrano scene di una recita mal riuscita. I bambini iniziano a ballare a suon di musica, ma questa sul più bello si interrompe. Altri intonano le prime note, ma non si sente niente perché il microfono è guasto. Infine c'è una ragazza in preda alla paura da palcoscenico che si copre la bocca convulsa da risatine isteriche mentre le compagne cercano nervosamente di continuare la rappresentazione.

Quando ne ho abbastanza, mi faccio indicare un ristorante perché ho fame. Ormai è passata l'ora della cena e il locale è semi oscuro. Mi siedo a un tavolo e ordino carne bovina conservata, tipica di Pingyao, che viene servita con aceto e delle cialde bianche arrotolate (nel menù inglese vengono chiamate edible grain discs - per fortuna che sono definite "commestibili").

Sebbene con le bacchette non me la cavi niente male, mi scontro qui con uno scoglio impossibile perché le viscidissime cialde non si lasciano afferrare nemmeno con la più decisa delle prese. Ma anche dopo averle catturate per miracolo, una volta intinte nella salsa piccante il liquido le distende, le apre e le rende ancora più scivolose, così che si perdonuo nuovamente nella ciotola. La strategia è infilzarle, concludo.

La mia lotta con questo alimento non è passata inosservata perché i camerieri hanno notato la mia difficoltà e hanno tutti gli occhi puntati su di me mentre si scambiano commenti. Non mi scompongo, anzi instauro una conversazione il cui contenuto di informazioni personali viene rifertito immediatamente come in un telefono senza fili a una coppia che nel frattempo si è seduta nel tavolo accanto. Presto tutti sanno da dove vengo, dove vado, cosa faccio e mi diverte questo gioco a cui tutti stiamo giocando. Il risultato è che anche gli altri due clienti puntano gli sguardi su di me e divento la stella del ristorante.

Ripassando dal palcoscenico noto che il livello delle interpretazioni è diventato fortunatamente più professionale e ogni candidato viene valutato da una giuria di esperti che dà voti dopo ogni esecuzione.