Qingdao

31 agosto. Ieri sera ho trovato un treno, lento, che partendo all'una del pomeriggio mi porterà a Qingdao, nello Shandong, arrivando domani alle 5.40. Sedile: duro, è ormai il mio stile.

Lascio Suzhou sotto un cielo livido che sovrasta minaccioso un panorama illuminato di sghembo dal sole. Orde di studenti universitari rientrano alla città dopo le vacanze, pronti per affrontare il nuovo anno accademico.

Viaggiare in treno mi piace, perché si osserva e si partecipa alla vita della carrozza. Una ragazza ricama dei disegni banali a punto croce e non si apre ai tentativi di conversazione che gli lancia ripetutamente un giovane con la maglia azzurra. La giovane nell'angolo, invece, recepisce queste avance e i due si infervorano in una lunghissima conversazione che con il calare della notte assume toni sempre più pacati e intimi, finché vedo il giovane con la mano sul grembo di lei.

La bella ragazza accanto a me è stata immersa a lungo nella lettura di un giornale, finché come colta da un raptus ha afferrato il mio libro e mi ha chiesto il permesso di sfogliarlo. Iniziamo così a conoscerci, coinvolgendo naturalmente tutto lo scompartimento a portata di orecchio e di occhio. Ad esempio, il nonno sull'altro lato del treno, propone al nipotino di andare in Italia con me, ma il bimbo si impaurisce e si nasconde, soprattutto quando gli rivolgo direttamente la parola. Appena capisce che scherzo, ogni tanto lo stuzzico finché mi passa accanto e lo rapisco sul mio grembo.

1 settembre. Come esco dal treno, vengo praticamente preso in carico da un altro passeggero. Era seduto vicino a me e non aveva partecipato granché nelle conversazioni, ma ora si risveglia e svolge la sua missione di accoglienza. È studente di chimica e viene dalla campagna che non ho mai visto e mi attira tanto, un paese di qualche centinaia di abitanti. Ha già studiato tre anni in città e mi vuole portare a vedere le belle spiagge, esternando tutto lo spirito di cameratismo che dimostrano i campagnoli ancor più dei cittadini. Camminiamo sul lungomare allontanandoci dal centro moderno, fino a un parco dove ci lasciamo. Ci rincontriamo alle 11 e si presenta con varie bacinelle di plastica e un sacchetto; ci fermiamo sugli scogli per mangiare castagne e alcuni dolcetti che ha portato da casa. Comparo così vari tipi di maniere cinesi: dalla cortesia reticente di Xiongqi, all'affabilità di questo chimico che mi ricorda quella di Lingxi Jian, fatta di grande spontaneità e semplicità.

Con Léi, che è ormai rientrato da Shanghai, ho appuntamento alle 16, naturalmente in un centro commerciale. Un suo amico ci dà un passaggio con la Golf nuova di zecca fino al posto dove è parcheggiata l'altrettanto luccicante Mini di Léi. Con l'indizio delle auto, sto immaginando la casa lussuosa in cui arriverò stasera, dove sono oltretutto invitato a una cena di benvenuto con i genitori. Dopo il viaggio da cui sono reduce, penso a un urgente piano di riassetto per rendermi presentabile, soprattutto dopo la colazione in treno a base di caffè che mi è costata una macchia sui pantaloni per uno scossone imprevisto. Ho cercato di lavarla via, ma il risultato è poco soddisfacente sulla tela bianca.

L'appartamento si trova in una serie di case lussuose. I genitori vengono sulla soglia di casa per darmi il benvenuto e dopo brevi convenevoli inizio il rapido programma di sistemazione che mi ero proposto in modo da scendere a cena in modo decente.

La mamma si esibisce suonando alcuni pezzi su uno strumento musicale che cigola come cardini i porta non oliati. Léi non sembra apprezzare molto, ma è troppo educato per dirlo. Io subisco lo strazio di alcuni pezzi, dando a vedere di essere onorato del privilegio che mi è offerto.

Léi qui non vive più la situazione provvisoria di Shanghai, ma è re nel suo regno, fatto di playstation, maxischermi e ogni comodità moderna, compreso un aggegio computerizzato incorporato nell'asse del gabinetto che si occupa con vari tipi di getti di tutte le pulizie intime.

Léi chiede di vedere le foto che ho scattato e ripercorre il mio viaggio per immagini. È preoccupato quando ne vede alcune scattate in posti dall'aspetto sporco o poco moderno. Vorrebbe che contribuissi a far conoscere la Cina, ma che mettessi in risalto quello che lui apprezza del suo paese. La Cina vecchia dovrebbe scomparire davanti al paese moderno. Peccato che sia quella che di più mi ha colpito e interessato…

2 settembre. Stamattina Léi riprende a lavorare. Ci svegliamo presto perché deve essere all'ufficio prima delle 8 e bisogna percorrere un sacco di strada, forse 15 chilometri, per arrivare in centro. Non si ha affatto l'impressione di partire da una periferia. La colazione è con il cibo di ieri sera, ma ho anche il privilegio di una confezione di latte, che deve essere stato preso in mio onore, e concludo con un baozi alle melanzane. Mentre usciamo la mamma ci saluta dalla finestra.

Riprendendo il lavoro dopo la pausa estiva, il mio ospite dovrà dedicarsi alle pulizie dell'ufficio, cosa che non è considerata degradante: anche in treno gli inservienti sono tenuti a riassettare continuamente le carrozze e i bagni spazzando i rifiuti che la gente fa cadere a terra. Entrambe le azioni, sporcare e pulire, sono eseguite con molto impegno e ottimi risultati.

Léi va fiero della sua città, che è effettivamente piacevole, e soprattutto della parte moderna. In quanto rappresentante della classe agiata, è significativo che abbia come modello una cultura improntata agli schemi del possedere, della velocità e della novità a ogni costo. È la società di chi deve possedere per essere riconosciuto e questa mentalità è il motore che la fa girare.

Mentre mi metto le scarpe, non gli sfugge la marca di cui anch'io sono caduto vittima comprandole. Potrei dire che le ho comprate perché erano in offerta, ma mentirei sulle vere intenzioni perché erano scarpe che mi piacevano. In effetti, a un più attento esame di coscienza, mi trovo a criticare della Cina quello che noi viviamo da tempo nel nostro paese, ivi compresa la speculazione immobiliare che ha cambiato in pochi decenni il volto dell'Italia – anticamente chiamata il giardino d'Europa o il Bel Paese. Ha colpito prima le città, poi i luoghi di villeggiatura e da ultimo le obbrobriose periferie che si allargano a macchia d'olio, sempre più ingombre di capannoni commerciali scandalosamente brutti. Questi meccanismi si stanno ben radicando anche in Cina, almeno in un certo contesto urbano.

Come protesta, il mio programma per oggi è andare in cerca dell'architettura rimasta a Qingdao dopo il periodo di aministrazione tedesca all'inizio del secolo scorso.

Prima mi procuro però alcune provviste per la giornata. Nei supermercati vedo i prodotti che annunciano la prossima Festa di Mezzo Autunno, come i dolci della luna e regali confezionati. La gente compra uova a peso, riempiendo sacchetti e carrelli. Mi sembra di vedere una specie di Natale, che si festeggia nei negozi e fa festeggiare i negozianti.

Dal mondo dei centri commerciali, passo quasi per magia al vecchio quartiere adagiato su una dolce collina costellato di vecchi edifici dal sapore teutonico, con tetti di tegole e finestre a bovindo, e una chiesa sprangata davanti alla quale diverse coppie in abito da nozze si fanno fare servizi fotografici di tutto punto - solo per la scena. Questo non è che il contorno al mercato, pieno di stupende scene e attraenti bancarelle, molte delle quali vendono strani molluschi che stanno immersi in teglie colme d'acqua. Come per sberleffo ai passanti, di tanto in tanto questi animaletti sputano uno schizzo d'acqua. Anche qui le uova non mancano e ci sono anche quelle conservate.

Mentre osservo le case e uno slogan della rivoluzione culturale, un gruppo di uomini sull'altro lato del marciapiede mi invita a bere. Sono seduti intorno a un tavolo ingombro dei resti di un pranzo di molluschi e stanno bevendo da ogni contenitore disponibile una birra annacquata, ma si rifanno con la quantità.

Un attimo di incertezza, poi accetto l'invito. Forse leggermente euforici per il bere, esprimono amicizia sincera e anche quando non ci capiamo ho la certezza di sentirli dalla mia parte. Non si aprono distanze e non si crea uno scollamento tra me e il gruppo. Passo un'oretta con loro, brindando. Vengono dalla campagna, hanno tutti una famiglia da mantenere e sono qui a guadagnare il pane. Quando un giovane vede il mio telefono, lo licenzia qualificandolo come un modello di due anni fa. Cosa di meglio per tornare all'idea delle due velocità che convivono in questo paese, e non solo nelle città, ma nelle stesse persone? Il mondo a cui mi sono avvicinato in questa oretta è anche lui espressione del grande contrasto, soprattutto se lo comparo alla situazione sociale della famiglia che mi ospita.

Tutte persone che mi hanno accolto mi hanno mostrato diversi volti della Cina; addirittura quelle che hanno aperto la casa a me, sconosciuto e straniero, mi hanno offerto non solo ospitalità e accoglienza, ma un quadro incomparabile sui alcuni dei cammini di vita che seguono i cinesi. Sono loro grato per il dono che mi hanno fatto.

Scendendo da Anhuailu, una strada occupata da una zona lastricata per i pedoni, tanti gruppetti sono intenti a giocare a carte o a domino e se la spassano. Sedendomi, qualcuno presto mi rivolge la parola per chiacchierare. Nel giardino della scuola i bimbi stanno ancora facendo ginnastica guidati dalla maestra, ma fuori il venditore di grilli li sta aspettando con un fascio di gabbiette di paglia. Risuonano di tanti trilli quanti sono gli insetti racchiusi. I pini neri del Giappone popolano il lungomare con le loro forme basse e contorte, adorni di ciuffi di aghi lunghi e scuri. Di sera arriva la pioggia dal mare.

Sono contento di Qingdao. Mi ha presentato la convivenza delle varie Cine in un unico luogo molto piacevole.