Fine del viaggio a Pechino

3 settembre. Con la pioggia che continua a cadere, il mio spostamento si complica un po'. Ho potuto comprare il biglietto del treno solo fino a Jinan, importante nodo ferroviario dello Shandong. Léi sarà finalmente fiero di me, ora che ho preso, mio malgrado, lo sfrecciante treno bianco che tocca la soglia dei 200 chilometri all'ora. A Jinan devo prendere un autobus per cambiare stazione e aspettare un paio d'ore. Il meccanismo della grande stazione che sembra un aeroporto contrasta con un treno pendolari a due piani che aspetta su un binario.

Da Jinan a Pechino il treno è ordinario e arriverà alle 21. Quest'ultimo viaggio è la degna conclusione della mia esperienza cinese e già mi fa sentire nostalgia della gente che con gentile curiosità si interessa sempre a me anche quando ho esaurito le risorse per parlare mandarino. Nel mio gruppo di sedili ci sono tre uomini dello Shandong che lavorano nella capitale e una graziosa ragazza. Al contrario del treno veloce, questo convoglio ha favorito la reciproca conoscenza di noi passeggeri e mi ha fatto passare le ore in un battibaleno. Addirittura ho raccolto una sfida a braccio di ferro con la guardia giurata e l'ho vinta.

All'arrivo il migliaio di passeggeri si riversa sulla banchina, poi si avvia verso l'uscita lasciando alle spalle la stazione. Girandomi la osservo con le sue tettoie all'insù e i contorni illuminati da un cordone di luci rosse. Sul piazzale molta gente è seduta o sdraiata sul lastricato favorita dal clima ancora tiepido di Pechino; è vagamente un panorama da stazione indiana.

Arrivo da Antonio, alla casa da dove sono partito quattro settimane fa. Trovo il solito andirivieni: uno spagnolo, una tedesca, un italiano e un cinese. Che differenza con le mie esperienze di queste settimane e soprattutto con l'atmosfera in casa dei miei ospiti cinesi.

4 settembre. Sono stato al cosiddetto mercato delle pulci e mi è sembrata la fiera della paccottiglia declinata alla cinese, traboccante di pessimo gusto. Alcune imitazioni non si preoccupano nemmeno di apparire antiche. In piccola parte ci sono libri e dischi usati. Il posto è tanto frequentato quanto deludente.

Mi muovo ad altra destinazione con la metropolitana. Nelle gallerie, il bombardamento pubblicitario è spaventoso. I corridoi sono tappezzati di enormi cartelloni ben realizzati, dipinti di colori chiassosi e traboccanti di immagini e scritte che stimolano i sensi e i comportamenti, invitano al consumo. Nessuna occasione è sprecata: i convogli proiettano messaggi pubblicitari perfino sulle pareti delle gallerie mentre sono in marcia.

Una coppia di anziani vestita di foggia démodé cammina con sicurezza per i corridoi avveniristici di questo mondo sotterraneo. Con quali occhi guarderanno il paese che hanno visto trasformarsi nell'arco della loro vita. Sono stati taciti testimoni di radicali cambiamenti radicali. Se il giovane aspirante giornalista di Xi'an trovava spunti di criticità, cosa penserà una persona anziana di questo paese che gli scappa avanti in tutti i sensi?

Il mercato della seta ha un nome evocativo, ma non è altrettanto affascinante. Le venditrici sono come dei cobra pronti a schizzare veleno sui clienti per accaparrarseli. I Friendship Stores, invece, sono retti da una gestione semistatale e il piglio dei commessi è sedato. Nessun cliente si aggira per i reparti deserti. Al piano degli oggetti d'arte si trovano dipinti di soggetti stereotipati che non esprimono grande originalità e tuttavia arrivano a costare cifre fantastiche. Sicuramente sono opere di ottima esecuzione, ma non giustifico il loro costo strabiliante.

Mi ritrovo nuovamente in mezzo agli hutong, incredulo per questa vita di quartiere che si svolge a un ritmo tranquillo e contrastante con il ritmo dei centri commerciali. Gli abitanti di queste zone non sembrano collimare con il clima della metropoli rampante che in modo agguerrito si introduce nella vita dei visitatori. Qui vedo gente in canottiera senza affettazione, anziani tranquilli seduti sugli sgabelli fuori dalla porta, cani molto curati che tengono compagnia a gente che vive la vita di villaggio. Passa un carretto a recuperare i rifiuti riciclabili, un altro che trasporta bottiglie trainato da una bicicletta. Vedo un lavandaio e tanti artigiani, numerosissimi ristorantini, dove arrostiscono la carne alla griglia talora aiutandosi con asciugacapelli per ventilare la brace. Preparano zuppe di verdura, vendono frutta e mantou. Le case basse sono sovrastate da tralicci tra cui si snodano cavi ingarbugliati; qualche insegna, ma niente a che vedere con il bombardamento pubblicitario nelle zone moderne. La gente si sta ritirando per la sera che cala. Chissà come vivono d'inverno con il freddo che attanaglia questa città.

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Torno dal ritrovo di Couchsurfing che ha chiuso il mio soggiorno in Cina e mi ha riportato prepotentemente al mondo che non ho voluto vivere. Mi sono ritirato nel momento in cui la gente si dirigeva a passare le ore piccole nei bar di Sanlitun, cosa che non fa per me. In questo gruppo che si è ritrovato senza conoscersi, convovcato su internet, mi sembrava di riscontrare la superficialità delle relazioni umane, ma ho dovuto ricredermi.

La metropolitana a quest'ora ha già chiuso e il taxi attraversa celermente le sgombre arterie di Pechino. L'autista mi racconta della sua situazione: ora comincia ad avere respiro nel momento in cui i due figli ventenni portano a casa i loro primi guadagni e contribuiscono al bilancio familiare. Mi ha preso nella zona di Sanlitun, dove la gioventù facoltosa passa le notti nell'ozio spendendo quello che possono essere le risorse di altre famiglie per una settimana. Quest'uomo passa le stesse notti privandosi del sonno per guadagnare il pane per la sua famiglia.

Cammino nel grande incrocio della Biblioteca nazionale dove sono stato depositato. Passo un'edicola dove marito e moglie sono intenti a mangiare un'anguria aspettando chissà quali clienti per vendere qualche stupidaggine. Cammino nella notte lungo il marciapiede di questa zona moderna e ritrovo la mia Cina all'angolo della strada. Qui sono raggruppati alcuni banchetti improvvisati che servono zuppe, spiedini e dei giovani sono accovacciati sui bassi sgabelli a mangiare. Chissà come si sono trovati qui nel cuore della notte… ma non mi interessa in fondo, perché questa è la Cina che accetto senza pormi questioni, che ritrovo ancora, anche nel mezzo di tutto quello che mi ha lasciato perplesso. In Cina, in Italia, nel mondo omnia mutantur, nihil interit.