Verso Samarcanda

Il massaggio è stato un toccasana: il mal di schiena è sparito improvvisamente già da ieri sera. Parto con i due ragazzi per la stazione dei pulman e da lì per Nukus direttamente, ripercorrendo la stessa strada dell'altro giorno. A Nukus mangiamo insieme qualcosa al mercato, poi andiamo al primo albergo che è al completo e a un secondo dove potrebbero darmi un posto all'aperto, ma riflettendo mi conviene partire per Navoi con il pulman delle 17 in modo da arrivare all'alba, piuttosto che con quello del mattino che arriverebbe nel cuore della notte.

Saluto i miei compagni e mi dirigo alla stazione delle autolinee dove un pulman è pronto a partire. È tetro, con le tende nere e una striscia di tappezzeria viola che percorre il soffitto. A cinque minuti dalla partenza il donnone davanti a me reclina il sedile sulle mie gambe, bloccandomi i movimenti. Sembra che voglia dormire a partire da metà del pomeriggio.

Il viaggio si svolge sul finire del giorno e al calare del sole, poi affronta le prime ore della notte. Solo verso mezzanotte facciamo una sosta in un'area di servizio che è un ristorante nel mezzo del nulla e del buio. Una piacevole brezza desertica forte e calda accarezza ora il corpo mentre mangio una scodella di zuppa e del pane, intontito dall'ora e dalla stanchezza.

Osservo come su uno schermo la scena lontana della gente attorno a me, sparsa su vari tavoli che consuma il pasto, mentre dietro il banco i lavoratori preparano il pane, scodellano zuppe, servono piatti. Rimarrei imbambolato a vedere passare la vita sotto il mio sguardo di spettatore, per presto forse cedere al sonno, ma devo tenere l'attenzione viva perché il pulman partirà senza pietà, interrompendo il mio piacere.

Il bagno è così lurido che trovo impossibile entrare, ma l'oscurità della notte mi favorisce. Dopo la pausa la donna che davanti a me aveva buttato giù il sedile si è scambiata il posto con la madre e riesco ad essere un po' più comodo.

9 agosto. Riprendiamo presto la marcia perché la strada è ancora lunga. Verso le 4 sono sopraffatto da una stanchezza che mi fa ciondolare la testa, anche se capisco di essere ormai sono prossimo all'arrivo e perciò devo stare vigile. Avverto l'aiuto autista che mi fa scendere a Navoi.

Mi hanno lasciato al lato della stazione dei pulman. Un bar ha alcuni tavolini tra le piante e in due o tre gabbie appese i merli iniziano a sentire i prodromi del giorno e a emettere dei trilli meccanici. Tre uomini giocano a scacchi intorno a un tavolino rotondo sotto una lampadina; accanto, un uomo sta riverso sul proprio avambraccio per cercare di dormire e un altro ancora è sprofondato in un profondo sonno su una piattaforma di legno. Come vorrei essere al suo posto!

Mi cerco un angolo tranquillo e mi accascio sul mio bagaglio, ma presto si fa luce e si mette in movimento anche la stazione.

Alle 7 riesco a prendere un pulmino che in un'ora mi deposita a Nurata. Mi addentro in città e raggiungo il punto di richiamo, un santuario meta di pellegrinaggi dove una vasca pullula di pesci che nessuno pesca in quanto protetti dalla santità del luogo. Ma a parte questa curiosità, non c'è niente, nemmeno l'albergo dove contavo di passare la notte. Intorno a questa cittadina, montagne brulle e spoglie che vengono pian piano immerse in un bagno di calore dal sole ormai intenso.

Non vedo modo di organizzarmi per rimanere. Anche se un uomo mi offrirebbe di stare a casa sua, credo che non mi resti che ritornare a Navoi e ripartire per Samarcanda. Ora la temperatura è salita di molto, rispetto alle ore dell'alba. Mi rimetto quindi in strada e con un taxi collettivo raggiungo Samarcanda a metà del pomeriggio, in un caldo torrido.

La pensione Bahodir non mi sembra un granché, all'inizio. Prendo un letto in una camerata dove nove giacigli sono ammassati in poco spazio. Il bagno è un locale seminterrato posto sotto la cucina, senza fognatura, perciò il gabinetto è un semplice buco nel pavimento al di sotto del quale gli scarichi si accumulano in una camera profonda alcuni metri. Non sono sicuro di aver fatto una buona scelta con il dormitorio, ma mi do un giorno di tempo.

Il proprietario è estremamente gentile e quasi reverenziale, anche nei confronti di un cliente come me e tanti altri che viaggiano in semplicità. Mi offre subito una teiera, un piatto di anguria e diversi biscotti, di cui mi nutro avidamente non avendo ancora mangiato. Mi anticipa che la sera, se lo vorrò, servirà un pasto per gli ospiti sotto la tettoia nel bel cortiletto per solo 2 $.

Sono stanco del lungo viaggio notturno. Faccio un bucato, mi riposo, ma non mi riesco a integrare nel clima del posto, che i due francesi avevano decantato. Mi sento ancora estraneo, i gruppi di persone sembrano già formati e non c'è posto per me, soprattutto ora che per stanchezza e pigrizia non ho voglia di fare il primo passo.

Anche a cena sono seduto accanto a una giapponese con cui cerco di instaurare un minimo di scambio, ma le risposte che arrivano sono grandi sorrisi e poco più di monosillabi e sembra che abbia difficoltà con l'inglese. Dopo cena mi sdraio su una delle piattaforme e cerco di leggere, ma non resisto a lungo. Il sonno mi assale e passo alla camera dove mi addormento profondamente.