Shiraz

Il viaggio è tutto notturno, ma come consolazione ho due sedili su cui cercare un po' di sonno. In una sosta tiro fuori il sacco a pelo dal bagagliaio perché l'aria condizionata è fresca. Arriviamo alle 6 e in uno stato di torpore mi trascino nell'androne della stazione, dove stagna un calore fastidioso e un'aria viziata. Per colazione, non trovo altro che un bicchiere di tè e delle tortine che mangio senza appetito.

Dato che dalla cartina non si capisce chiaramente la distanza tra qui e il centro e non mi sembra logico lanciarmi in esperimenti ora, prendo un taxi. La città sembra meno organizzata di Isfahan, gli autobus non sono così moderni e di facile utilizzo.

Ho l'indirizzo di un ostello per pellegrini di proprietà della Sepah, il corpo militare ideologico istituito nel 1979 che è andato allargando la sua influenza a ogni campo della società iraniana e controlla tra l'altro i famigerati basij. È un edificio antico, in un vicolo tra case basse di mattoni, da cui, a quest'ora mattutina al sorgere del sole, ogni tanto si alza il canto di un gallo, mentre gli operai iniziano a lavorare in un cantiere vicino.

Il portone è chiuso; suono una volta e una voce mi risponde in farsi. Forse dice che è chiuso… oppure di aspettare? Mi spiace lasciare questo posto così bello e aspetto per un'ora, mentre mi godo l'alba e vedo il sole pian piano ingrandirsi e tingere di colori tenui la città e i monti intorno. Riprovo a suonare, ma ho la conferma che il posto non è in funzione. Peccato...

Un uomo di Busher, zona praticamente di frontiera e con minoranze arabe (infatti parla un po' di arabo) sta cercando una camera come me in una strada vicina. Shiraz attira, oltre che i visitatori di Persepolis, anche un discreto numero di pazienti che si recano ai suoi rinomati ospedali per farsi curare. Arrivano addirittura dai paesi arabi del Golfo, specialmente l'Oman, o comunque dalla costa sul Golfo Persico.

Trovo un albergo piuttosto scarso. La struttura si sviluppa in alcune anticamere attorno a cui si aprono diverse stanze, il gabinetto e la stanza per la doccia. Condividendo i servizi comuni, ci si incrocia inevitabilmente con gli altri occupanti e si coglie uno scorcio delle loro stanze attraverso una porta aperta. Di fronte alla mia porta vedo allineate sei paia di scarpe che corrispondono ad altrettanti ospiti, ma alle ore dei pasti se ne aggiungono di nuove. Mi domando che specie di accampamento militare ci deve essere lì dentro, ma tutto lascia pensare che in questi momenti all'interno si svolga un picnic, tutti seduti in circolo sul tappeto come se si trattasse di un idillico prato nella natura.

Il figlio del proprietario conosce qualche parola di inglese e se sillabo possiamo capirci un minimo. La sera mi invita a mangiare un melone fresco, ormai troppo maturo. Tra un cliente e una telefonata ci intratteniamo nella stanza accanto all'ingresso in una conversazione elementare ma comunicativa. Tutto sommato questo posto ha finito per piacermi.

Con un paio d'ore di sonno regolo il mio debito di stanchezza e posso uscire dopo pranzo per visitare l'Arg. È la fortezza costruita da Karim Khan Zand, governatore illuminato che scelse Shiraz come capitale nel 1762, prima che il capostipite della successiva dinastia Qajar la spostasse a Tehran.

Lungo l'arteria Zand vedo l'agenzia di viaggi Pars, quella che mi aveva sconsigliato, contro il loro stesso interesse, di presentare domanda di visto perché non avrei mai avuto possibilità di ottenerlo. Entro e mi confermano la loro inettitudine informandomi che l'estensione mi costerà $ 20 al giorno. La sparata è troppo grossa per essere plausibile e immagino che stiano pensando alla multa che pagherei dopo la scadenza. Tuttavia si insinua un piccolo dubbio che vorrei dissipare quanto prima. Propongono anche escursioni a prezzi esagerati, perciò domani per andare a Persepoli mi arrangerò da solo: sarà sicuramente meglio che mettersi in mano a questa ciurma di incapaci.

La sera mi faccio indicare un posto dove prendere un ash, che consumo in strada in compagnia di altri clienti. Dall'interno del negozio, ingombro del calderone in cui hanno preparato questa minestra, scodellano porzioni man mano che la gente viene a comprarle. Alcuni consumano sul posto, altri si fanno preparare una vaschetta familiare da portare a casa. Da questo incrocio parte una via commerciale animata, piena di negozi: ci sono venditori di dolci, di datteri, di frutta secca e tutte le merci immaginabili. Cerco di raffigurarmi lo stile di vita iraniano che mi piacerebbe sperimentare vivendo qui per un certo periodo.