Siria d'estate

La fortezza di Aleppo28 luglio 2006 - Già sull'aereo vivo un'anticipazione del clima mediorientale: conosco Rami, studente di medicina a Berlino originario di Damasco, che mi lascia il suo numero di telefono per chiamarlo quando passerò dalla sua città.

Sbarcando all'aeroporto di Aleppo sono accolto da raffiche di aria calda che sembrano accarezzare; soffi intensi che investono in pieno, ma in un attimo cessano, quasi per non colpire le guance con lo schiaffo dell'aria. Intanto, la luce del sole obliqua riscalda ancora con le ultime vampate i toni delle pietre già arroventate dal calore di tutto il giorno. Ritrovo così un paese nello splendore dell'estate, proprio come l'avevo conosciuto due anni fa. Osservo ancora dal finestrino del taxi questo ambiente, mentre l'autista vuole che gli insegni qualche frase utile in inglese da usare con stranieri.

 

Giro per qualche albergo intorno alla zona dove mi faccio lasciare, metto la testa dentro l'Assia dove ero già stato, ma alla fine opto per Zahrat ar-Rabie con un letto sulla terrazza coperta. Ma non perdo tempo, la città mi chiama e faccio un giro alla moschea ommayyade, ora splendidamente riaperta dopo i restauri; alcune strade centrali sono state lastricate a nuovo, proprio ora che la città vive il suo anno di gloria come capitale della cultura islamica. Noto con piacere lo spirito di convivenza pacifica che viene comunicato da un cartellone propagandistico che riporta scritte tra le immagini di una moschea e di una chiesa. Arrivo passeggiando alla meravigliosa fortezza di fronte alla quale la gente affolla la terrazza del caffè: è una specie di Qasiun aleppino.

29 luglio - Ho passato una notte piacevole cullato dai soffi di vento intermittenti che, entrando dalle finestre aperte, hanno mosso l'aria durante tutta la notte. Prima di iniziare seriamente la giornata, passo dai calzolai vicino alla porta di Antakia e faccio risuolare un paio di sandali comprati proprio qui ad Aleppo. Parto poi in pulmino per Maarra e da qui per Kufranbal. L'autista mi porta oltre il capolinea fino al Bara, una delle città morte che intendo visitare. Lungo la strada percepisco l'intenso profumo di resina che risveglia in un primo tempo tante emozioni legate a questo paese, per poi farmi affondare nelle profondità di chissà quali confusi ricordi di infanzia, addirittura risvegliando i miti greci, nati in questo grande spazio mediterraneo che ha visto e vede tuttora scambi e scontri di cultura, di civiltà e di merci. Questo profumo così naturale è addirittura commovente.

Le rovine delle città morte. BaraVisito le affascinanti rovine di costruzioni bizantine sparse qua e là sotto le fronde degli ulivi. Poi mi sposto a piedi fino al paese e prendo il cammino per Serjella. Chiedo a un giovane di riempirmi d'acqua la bottiglia e lui si offre di portarmi in moto fino alle rovine (Allah karim!) risparmiandomi una strada faticosa. Le costruzioni sono qui raggruppate in uno spazio ristretto. Fa molto caldo, il sole cuoce e il vento, nonostante abbia il pregio di alleviare il calore, oggi affatica. Dopo la visita il custode mi indica la strada più frequentata per fare autostop per il rientro.

Mi prende presto un furgoncino. Mentre parlavo con questo gioviale contadino di una certa età, il discorso è inevitabilmente caduto sulla famiglia e gli ho chiesto dei figli: quattro dita della sua mano si sono alzate nell'aria e ho azzardato un'interpretazione dicendo "quattro maschi". Ma stava prendendo il discorso alla larga e io ero lontano dal vero, perché indicava il numero delle mogli.

Mi lascia al suo paesotto da dove riprendo il pulmino per Maarra, la città del poeta cieco Abu Alaa, che con la sua Lettera del perdono si inserì in un fiorente filone di letteratura medievale dedicata ai viaggi fantastici nell'Aldilà, poi coronato dalla Divina commedia. Ma Maara è anche famosa tra gli arabi per l'assedio che subì durante la prima Crociata e che sfociò, secondo i cronisti arabi, in un massacro e in episodi di cannibalismo sui corpi degli abitanti di questa città. Faccio un giro per la città, vedo la sua antica ma spoglia moschea, poi mi siedo in un ristorante con un piatto di hummus. Nasce una lunga conversazione con i ragazzi del ristorante.

Ad Aleppo faccio un giro per il quartiere armeno, Jdeide, poi alla cittadella, che non mi stanco mai di ammirare. Cerco di telefonare a Saadallah, ma la linea risulta sempre occupata, così mi intrattengo con Khalid, il ragazzo del banco del telefono. E' ancora un giovane liceale ma, come molti arabi, già appassionato di politica, ovvero dei complotti che la animano quasi fosse il migliore di tutti gli sceneggiati televisivi, non solo perché è il più articolato, ma soprattutto perché è reale. La sua visione del mondo è tutta siriano-araba e pesantemente influenzata dalle idee del regime che fornisce l'interpretazione dei fatti da cui alla gente non piace scostarsi troppo; non per timore, ma perché ne sono davvero convinti. Mi dà così una versione della recente storia mediorientale che sfocia nel sensazionale assassinio al-Hariri. Ma l'epilogo non è a sorpresa, perché naturalmente la colpa è tutta di Israele.

Questa giornata è stata anche occasione per ritrovare la creatività, o forse l'irrazionalità, se giudicata dai miei occhi di occidentale, del mondo arabo; comunque sia, un atteggiamento che non fa che divertirmi. Ho visto nel cuore della notte nel bel mezzo dell'importante incrocio di Bab al-Faraj un'auto ferma con un uomo disteso sotto che cercava di riparare qualcosa. E ancora: nel pulmino di stamattina, che aveva il corridoio tutto ingombro di sgabelli con passeggeri, ho sentito alcune persone suggerire a un bambino dell'ultima fila di scendere dal finestrino, ma per fortuna il vetro, almeno lui, ha inteso ragione e non si è aperto.