Furto in camera. Ani

Ani, l'antica capitale armena8 agosto - Mi sono svegliato alle 7 da solo, nonostante avessi raccomandato al portiere di darmi la sveglia, che non è mai arrivata, e stranamente ho trovato la porta della camera spalancata. Ieri sera l'avevo chiusa a chiave e messo anche il catenaccio dal dentro quindi mentre dormivo qualcuno deve essere entrato dalla finestra che avevo lasciato aperta e che dà su un balcone comune e deve essere uscito dalla porta.

 

Immediatamente verifico i valori. Per fortuna ieri sera, aprendo la finestra, avevo pensato a questa eventualità perché il balcone in comune non mi piaceva per niente e avevo nascosto tutto nel comodino, addirittura girando il cassetto verso il letto. Tuttavia ho voluto giocare d'azzardo per non soffocare nell'aria calda della camera.

Le cose importanti ci sono tutte, però… quando cerco di vestirmi noto la mancanza dello zaino. Passo velocemente in rassegna mentale quello che conteneva: vestiti, la guida per la Siria presa in prestito dalla biblioteca, biancheria di ricambio, caricabatterie della macchina fotografica… studio la fattibilità di continuare il viaggio con il pochissimo che mi è rimasto: cosa possibile, ma ardua.

Alle 8 ho prenotato il giro ad Ani. Penso quanto sia bello che almeno la macchina fotografica, le memorie, la carta di credito, il diario e i contanti siano rimasti con me visto che li avevo nascosti. Chiedo di parlare con il direttore e gli spiego il problema. Manda a cercare lo zaino, che viene presto trovato in un'altra camera del piano, con tutto il contenuto sparso per terra. Rimetto a posto e constato che manca solo il sacco a pelo. 

Parto per Ani. Lungo il percorso sono pensieroso, immerso in un vortice di meditazioni. Rifletto nel paesaggio senza sole il mio stato d'animo che potrebbe essere depresso, ma non arriva ad esserlo. Vorrei sfogarmi e infatti racconto ad alcuni l'avventura. Rifletto sui rapporti umani e sul significato di conforto che possono rivestire, ma quanto è difficile trovare un confidente degno di fiducia! Quante delle persone che chiamoamo con leggerezza amici sono in realtà persone in grado di dare un aiuto? Persone che non ricevono soltanto una notizia o una confidenza solo per riferirla come un pettegolezzo o una storiella piccante con una superficialità che ferisce?

Io do un valore altissimo alla lealtà, ma purtroppo sembra che molti non siano in grado di essere depositari di una notizia senza per forza renderla spettacolo e non considerando l'effetto che questa superficialità può avere sull'interessato. La discrezione, questa bella qualità, è difficile da trovare.

Io stesso ho sbagliato molte volte nei rapporti con le persone, sotto questo aspetto e anche per altri versi. Sono in vena di pensare, durante questo spostamento di 45 km verso il confine con l'Armenia attraverso la landa desolata.

Visito il sito di Ani, molto suggestivo e alle 12 rientriamo. Mangio con due olandesi, poi decido di divertirmi un po', andando al commissariato per sporgere denuncia di furto. Sono presto tutti intorno a me per ascoltare la mia avventura, ma senza conoscere l'inglese, nessuno capisce gran che. Poi viene un ragazzo che mastica un po' di inglese, ma neanche lui coglie molto della storia. Partiamo per andare all'albergo con un pulmino della polizia e ci fermiamo sul percorso a casa di una interprete, a cui spiego l'accaduto. A bordo del mezzo ci sono 6 agenti, oltre a me. Entriamo in albergo, parliamo con il direttore, poi sono io a non capire come si conclude la vicenda perché ci salutiamo tutti con un gioviale arrivederci.

Vado a zonzo per la città. Non ho voglia di visitare un'altra fortezza e mi siedo in un caffè per bere un tè. Spero anche di incrociare Mariangiola e Ibrahim che so essere arrivati a Kars questo pomeriggio. Poi mi decido a telefonare a casa e per questo vado in un negozio internet dove un simpatico ragazzino mi aiuta a decifrare i menù in turco.

All'albergo avanzo con cortesia le mie richieste di risarcimento che so saranno ignorate, ma voglio farlo comunque. Trovo anche un messaggio di Mariangiola che mi aspetta per cenare insieme. Vado al suo albergo, ma la trovo fuori forma e non se la sente di uscire.

Mi intrattengo allora con Ibrahim e andiamo a mangiare insieme. Dopo una conversazione piuttosto generale, si confida sui problemi che lo affliggono e che riguardano la sua famiglia. Suo padre si è indebitato per mantenerlo e farlo studiare, come anche i due fratelli maggiori e ora un quarto ha terminato la scuola e andrà a Damasco per l'università.

Capisco che la famiglia vive in condizioni difficili, molto più dure di quello che avessi immaginato in un primo tempo. Mi dice che non riesce a sopportare questa situazione triste, non ce la fa a stare a lungo nella casa familiare.

"Le persone che ami, come si può vederle soffrire?", questa domanda retorica mi tocca nel profondo: sono davvero senza parole di fronte a un'interrogazione che non ha risposta. Stiamo zitti per un certo tempo, un silenzio che da parte mia non è di imbarazzo, ma di comprensione, che manifesto così e so che lui mi sente partecipe. Ebbene, ora che mi ha voluto dare il quadro di questa situazione penosa di povertà, quasi un vicolo senza uscita evidente, capisco di più il suo punto di vista, ma mi rattrista comunque. Ci lasciamo, penso per sempre, salutandoci sotto la porta del suo albergo.