Le rovine di Jarash

29 marzo 2005. Sono appena arrivato ad Amman ed è già mezzanotte e un quarto. Nella camera dell'albergo pulcioso che sono riuscito a trovare, sto aspettando che l'uomo dell'accoglienza mi porti uno shawarma che si è offerto di procurarmi; almeno mangerò qualcosa. Dalla strada risuonano pezzi di musica frammentata, ma il traffico sembra calmo. Spero che non si scateni domani all'alba, ma sono disilluso al riguardo: tutto lascia a prevedere che questo invece succederà. 

Ho incontrato in aereo una ragazza italo-giordana sposata a Rimini che torna per due mesi dai genitori. All'aeroporto il fratello mi ha offerto un passaggio e mi ha gentilmente accompagnato con la vecchia Mercedes fino in centro. Il cosiddetto Wasat al-balad è una zona caratteristica, non antica, piuttosto modesta e che offre sistemazioni senza pretese per i viaggiatori di passaggio. Karim ha insistito per portarmi fino in camera e non ho potuto dunque fare troppo il difficile ostinandomi sull'albergo che mi sembrava migliore dalla descrizione della guida. Così mi ritrovo in Giordania in questo posto... ma è solo per una notte per fortuna perché il posto è sporco. Si sopporta tutto nella necessità, ben inteso, e non sarà mai peggio di quell'albergo del Cairo, che tra annessi e connessi prevedeva anche camere ripiene di zanzare. Ho comunque il mio sacco a pelo che ho portato con scelta previdente e lo inaugurerò stasera.

La famiglia che ho incontrato è costituita dal padre giordano, architetto laureato a Venezia, e la madre di Vittorio Veneto ma stabilita da 30 anni in Giordania. Lui è musulmano, lei cristiana, i figli, anche se per legge sono registrati come appartenenti alla religione del padre, in coscienza non si sa bene. Lui ha lavorato per la costruzione della grande Moschea di Amman. Sembrano di classe sociale alta. Mi sono scambiato i numeri di telefono e ho preso anche quello degli amici dei posti dove andrò, ma non mi sono spinto al grado degli amici degli amici, anche se non mancava molto per arrivarci. 

Le rovine di Jarash

30 marzo - La notte non è stata malaccio. Sono stato risvegliato dall'adhân dell'alba proveniente da amplificatori credo assai potenti di qualche vicina moschea. Erano le 4 appena passate. Non era il solito megafono gracchiante, ma un suono caldo come l'aria di qui, profondo e grave, una chiamata lenta non cantata, ma sotto voce che stranamente ho incorporato in un sogno. Verso le 7 un secondo risveglio provocato da una salmodia del Corano proveniente dalla strada, seguita da alcuni successi di Fayrouz: Akhir ayyam al sayfiyye e Al nay con le bellissime parole di Jibran (traduzione in sez. Musica).

Esco a cambiare un po' di euro in banca e faccio colazione, poi vado a farmi tagliare i capelli e la barba. Il giovane barbiere che ho scelto non sembra molto esperto, ma presto entra il vero titolare, il fratello Jihad, e tiro un sospiro di sollievo. Assume il lavoro con mano esperta. Ha 32 anni, mi dice, e 5 figli. Sul principio non gli presto fede, ma devo ricredermi e complimentandomi con l'opportuna frase fatta. Mi offre del caffè e mi intrattiene con la conversazione, nella quale esprime il seguente ragionamento senza piega: se io non avessi nessuna religione, secondo te cosa sceglerei tra l'islam, il cristianesimo, il buddismo, ecc.? Ma naturalmente l'islam, e mi dà alcune motivazioni a supporto di un'argomentazione che non ammette replica. Il suo parlare non è sgradevole, non è ancora in azione per la conversione o la pressione psicologica. Lui è palestinese e mi dice, con una punta di sarcasmo, di salutargli Gerusalemme quando ci andrò perché lui non potrà mai farlo.

Prendo il bus per Jerash dove arrivo verso mezzogiorno e inizio la visita alla bella città archeologica contornata dalla campagna verdeggiante, su un lato incorniciata dalla città moderna.

Dopo un paio d'ore mi reco alla stazione delle autolinee per prendere il trasporto verso Ajlon, ma devo prendere un'auto tutta per me perché non sembrano esserci pulmini di linea. Accetto di pagare 3JD e accelerare il viaggio per vedere la fortezza crociata di quella città. Il viaggio è decisamente accelerato, dato che in un tratto mi scappa l'occhio sul tachimetro e vedo una lancetta traballante toccare 160 km/h. Tutte le curve vengono regolarmente tagliate ma al hamdu lillah 'ala al salameh, arrivo intatto.

La fortezza sta per chiudere, ma riesco ad entrare lo stesso ed ammirare il panorama dall'alto, che è davvero bello. Poi scendo a piedi fino a quando non trovo un autobus che mi riporta alla stazione, dove ben presto alcuni si informano su di me e passano la notizia cosicché tutti sanno chi sono e dove vado.

Arriva il bus per Irbid e giungo all'albergo dove il figlio del proprietario, Ahmad, mi accoglie simpaticamente. I clienti sembrano essere tutti arabi e si raccolgono in una sala comune per passare il tempo parlando e fumando. Anch'io sosto qui in attesa della doccia, osservando incuriosito queste persone e mi intrattengo con loro. Conosco Sa'dallah, un ragazzo di Aleppo che parlando mi propone di uscire a bere un caffè, così andiamo in taxi verso la zona universitaria.

Il caffè, che avevo preventivato essere una breve pausa prima di cena, si protrae invece per due ore e Sa'dallah mi parla dei suoi viaggi in Europa, della sua permanenza in Svizzera, della sua storia d'amore con una portoghese, dei suoi commerci. È sarto e sembra dal suo modo di ragionare una persona intelligente e aperta.

Tra le cose che dice me ne rimane impressa una che mi ha fatto sorridere: l'europeo pensa, poi parla, ma l'arabo, no, parla e solo dopo si mette a pensare. Detta in tutta serietà, l'ho trovata un'uscita divertente.

Avrà una trentina d'anni e mi confessa di aver perso l'entusiasmo di fare tante cose. Da più giovane aveva grandi ambizioni che non si sono realizzate, ma ora non aspira più a obiettivi così alti. Gli rispondo che anche per me è così, forse è così per tutti, è l'effetto dell'età. Da giovani abbiamo tutti la vita aperta davanti a noi, con mille strade che si possono prendere; crescendo bisogna percorrere una strada e questa, per quanto bella, non è tutte le altre. A volte poi la strada presa è oltretutto brutta. Ci sembra di poter giocare grosso, di avere tante potenzialità, ma lo spazio e il tempo, le condizioni materiali che ci capitano, ci costringono in un ristretto ambito, quando potenzialmente potevamo essere tutto.

Mi sto raffreddando e rabbrividisco con il calare della notte, perciò gli chiedo di rientrare in albergo, anche per mangiare qualcosa. Sono già le 22.30 e non ci sono molti locali aperti. Opto quindi per mangiare uno shawarma che divoro con l'appetito di un lupo. Poi attraverso la strada e mi siedo in una pasticceria per una porzione di dolce. Appena seduto vengono al mio tavolo i ragazzi in servizio nel locale per conoscermi. Si interessano a me con tante domande e ci mettiamo a conversare. Uno di loro, Saleh, si offre di portarmi domani all'università e farmi visitare il museo sulla storia del paese che avevo intenzione di visitare.

Naturalmente non mi viene permesso di pagare la consumazione e ci salutiamo alle 23.30. Rientro in albergo, dove trovo Sa'dallah nella penombra che parla con il padrone dell'albergo. Dicono di essere stati in pensiero per me. Mi devo fermare un po' con loro per cortesia e Sa'dallah porta dalla stanza una scatola di biscotti di Damasco da farci provare. Finalmente riesco ad andarmene a letto, ma sono già le 0.30.