All'avventura sulla Via dei Re

3 aprile - Oggi è una giornata aperta: so dove voglio andare, ma non so se ci arriverò come ho previsto. Non intendo pendere il taxi per al-Karak come mi è stato offerto dal supervisore del mujamma' ieri. Mi sembra una soluzione sicura, ma troppo comoda, non stimolante. Prenderò allora il bus per Mukawir e da lì vedrò come continuare. Quella persona non mi ha dato molte speranze ieri, ma probabilmente l'ha fatto nel suo interesse per procacciarmi un taxi.

Ho fatto la colazione con la signora stamattina, nel suo appartamento all'ultimo piano sopra le camere dell'albergo, alle 7. Abbiamo conversato di diverse cose e mi è sembrato di parlare con la madre di Amal a Damasco. Identico atteggiamento del cristiano orientale verso il mondo musulmano che lo circonda: diffidenza, chiusura, disprezzo, pregiudizio (che è comunque ricambiato da atteggiamento altrettanto chiuso dalla parte numericamente più forte e aggressiva). Sogghignavo sotto i baffi, sentendola vituperare la poca pulizia dei musulmani, la loro scorrettezza, ecc. Ma anche l'Italia non ne esce indenne nel commento di questa signora immersa di Oriente conservatore: a Roma ha notato sconvenienti vestiti di suore che arrivavano sopra il ginocchio e poi (lo dice quasi fosse un demonio spruzzato con acqua santa) ha visto in aereo coppie miste cristiano-musulmane. Ma certamente dal suo punto di vista ogni coppia mista corrisponde a un cristiano perso a favore della fazione opposta.

Sono partito dalla stazione per Mukawir. Il bus non si è fatto aspettare, subito si è riempito e si è messo in marcia. Ho salutato il controllore. A bordo ho conversato con un signore di Amman il quale verso la fine ha voluto fare sfoggio del suo inglese e qui capivo un po' meno. Dice di aver saputo della morte del Papa ieri e afferma che molti l'hanno apprezzato per la sua posizione di difesa della libertà e della pace per la Palestina e l'Iraq, i musulmani della Bosnia. Come dicevano alla radio ieri i prelati arabi intervistati, ha saputo costruire ponti e speriamo che l'odio non li distrugga.

Sono arrivato al villaggio di al-'Aridh e da qui ho dovuto trasbordare in un altro pulmino per Mukawir. Sono stato lasciato davanti a un piccolo cimitero da cui, zaino in spalla, mi sono incamminato verso l'esterno del centro abitato, tutto sparpagliato, per una mezz'ora circa in direzione della collina appiattita su cui rimangono le rovine del castello di Erode. Già nell'avvicinarmi scorgevo il Mar Morto lì sotto, un gigante sprofondato sotto terra, una distesa di acqua densa come altre non ci sono nel mondo intero; una superficie che oggi appare nel sole, macchiato come una distesa di piombo fuso, poi di turchese ceruleo, in un crogiolo di terra cotta. Un fossile, una testimonianza di un'era lontanissima, un gioiello splendido incastonato in terre di oro.

Nascondo lo zaino in una grotta e proseguo lungo il sentiero che scende e poi si inerpica sul fianco della collina fino ad arrivare alle rovine. Fa freddo e soffia vento ma il panorama è incredibile. Sto aspettando che esca un raggio di sole per godermelo in un'altra veste e fotografarlo prima di rincamminarmi verso il villaggio.

Aspetto il bus che da Mukawir mi deve riportare ad al-'Aridh e poi a Libb. Alcuni ragazzini vengono alla fermata e si mettono a parlare con me, poi sopraggiunge una ragazza che dice di aspettare più in là e mi incammino al suo fianco fino al minuscolo e sprovvisto negozietto, da cui lei prende per casa sua. Qui mi siedo e subito esce un'anziana signora, vestita di nero, rugosa ed emaciata, che mi dice della sua vita di indigenza tra il negozietto e la stanza di fronte, da sola. Ecco tutta la sua vita. È un personaggio tutto particolare, parla enfaticamente e con molta ironia che ha conservato, anche da sola, commentando le sue azioni e sottolineandole con commenti divertenti.

Anche nel bus trovo un'altra macchietta: un altro anziano con la palandrana nera, 'abbayeh, bordata di oro, la kufiah rossa. Mi chiede incuriosito con tono canzonatore cosa mai avrò nel grande zaino che mi porto appresso e gli rispondo vestiti. Mi domando se in effetti non stia esagerando con un bagaglio che secondo il mio criterio è ridotto al minimo, ma per questa gente è inconcepibile. Forse basterebbe un fagottino, certo a prezzo di andare in giro polverosi come è la gente di qui.

A un tratto ho dovuto fare l'acrobazia del cambio di posto per non trovarmi seduto accanto a due donne velate e offendere i costumi locali. Questa è una cosa che si vede spesso nei mezzi di trasporto, rimescolamenti umani per garantire la più assoluta separazione tra i sessi.

Da Libb cambio per Ariha e qui prendo il taxi per attraversare il grandioso Wadi Mujib, dato che non ci sono mezzi pubblici. È imponente e impressionante questo profondo taglio che fende l'alta barriera montagnosa che fa da sponda orientale al Mar Morto. Sul fondo si scorge un bacino artificiale.

Anche l'autista del taxi è un bel tipo... racconta di esser stato in Corea a comprare automobili, per un mese. È passato da Bankok (e qui il suo occhio brilla…) e si è portato dietro provviste alimentari perché il mangiare laggiù è caro come il fuoco e non gli piace: sempre pesce. Aperti come sono i mediorientali alle novità alimentari, non faccio fatica a immaginarmi il suo imbarazzo. Ma anche tanti italiani sono così, intenti a cercare spaghetti ove gli spaghetti non crescono. O il caffè fatto con la caffettiera...

Ad Ariha trovo quasi subito il bus (è il settimo della giornata) che mi libera dall'assedio di una trentina i scolaretti tutti vociferanti asserragliati intorno a me. Arrivo a Karak, scorgendo da lontano le rovine della fortezza crociata arroccata severa sulla cima del monte attorno a cui si stende la città. Questa fantastica costruzione riempie la mente e l'immaginazione di un passato di guerre e di gesta cavalleresche che ha testimoniato questa terra.

Sono arrivato! È valsa la pena di provare questa esperienza piuttosto incerta. Prendere il taxi sarebbe stato certo più comodo, ma non avrebbe corrisposto alla mia sete di scoprire pian piano la strada e di conquistare ogni tappa, oltre ad essere dispendioso. Inoltre con questi mezzi siamo passati da incantevoli stradine che si snodavano per campagne costellate di olivi e di fiori, tanto verde di erba tenera e terra arata.

All'albergo mi accoglie un simpatico egiziano copto. Sono numerosi gli egiziani che lavorano in Giordania per mandare soldi alle povere famiglie. I segni dell''aulama, detta da noi globalizzazione, sono presenti anche in Giordania: lavoratori cinesi e del Bangladesh, cameriere indonesiane, ecc. Samir vuole offrirmi del tè, ma preferisco fare uno spuntino prima e trovo un panino di formaggio e za'tar da un venditore di succhi che ha studiato al Cairo.

Torno verso l'albergo passando per strade affollate, con negozi colmi di splendida verdura, gente indaffarata, ogni poco un macellaio che espone caprette sgozzate appese per le zampe posteriori e la testa non scuoiata, o una testa bovina appoggiata per terra. Compro un sacchetto di zafferano e il venditore insiste per offrirmi un caffè che ordina dal bar accanto. Il cameriere me lo porta su un vassoio servendomelo dal pentolino e spandendo odore di cardamomo, mentre questo simpatico signore è onorato di avermi nel suo negozio. Mi dice che ama i cristiani (è la prima volta che mi capita di sentirmi definito così senza la domanda di inquadramento) per il nostro senso di amicizia (troppo buoni e complimentosi questi arabi). Beh, in effetti noi magari dimostreremo più freddezza nei rapporti umani, ma a volte più sincerità.

Riesco a riprendere la strada dell'albergo e lì non posso più scampare al caffè di Samir. Solo alle 16.30 entro alla fortezza con solo un'ora di tempo prima della chiusura. È meravigliosa. Domina la valle dai suoi 900 m e per questo sono spazzato da un vento feroce e spietato, freddo. Devo coprirmi di più.

Esploro i passaggi, le stanze, le caserme, le cucine. Poi mi dirigo alla collina di fronte per apprezzare l'esterno. Un bambino mi guida al bus, ma quasi arrivato alla fermata entro in una chiesa dove si sta celebrando una messa ortodossa. Il prete compie curiose processioni per la chiesa preceduto da bambini che reggono lanterne e una croce. In stile conservatore mediorientale, predica sull'importanza di mantenere il proprio ruolo nella famiglia, nella società, ma mi sono perso il resto del sermone, perché sono entrato in ritardo.

Dopo la messa riprendo il proposito di raggiungere la collina dirimpetto ma il sole sta ormai calando e rientro all'albergo dove Samir mi aspetta con altri due compagni egiziani. Passiamo la serata insieme. Appena i due connazionali musulmani si allontanano dalla stanza, racconta delle difficoltà che vivono i cristiani in Egitto. Poi si mette a narrare, come fosse una favola, la storia della nascita di Gesù, della fuga in Egitto, dell'uccisione degli innocenti. Gli arabi adorano le storie dei profeti ed è effettivamente bello ascoltarle con l'innocenza e la fantasia, quasi stupendosi della loro semplice bellezza come farebbe un bambino che ascolta una favola per la prima volta.

Alle 23 abbandono la stufa a kerosene accesa nella sala che mi ha scaldato finora per salire in camera e farmi una doccia prima di dormire.