Karak, all'ombra della sua fortezza

4 aprile - Compro alcuni dolci da mangiare con gli egiziani per colazione, ma loro ne prendono solo per gradire. Forse non amano il dolce di primo mattino. Poi esco a vedere la fortezza dalla collina e arrivo sulla cima da cui la vista è molto bella. Prendo il pulmino per rientrare all'albergo, ritiro il bagaglio e passo a salutare il commerciante di ieri, Husni, perché mi aveva detto di ritornare. Per me era parola data e mi pareva scortese ignorare l'impegno, ma per lue era forse un invito di cortesia perché il suo sguardo tradisce, al vedermi, una certa sorpresa: differenze culturali. Ma anche se forse non mi aspettava affatto, mi accoglie con massima cortesia, mi ordina un caffè e scattiamo una foto di ricordo davanti al catino colmo di zafferano che sta scodellando in confezioni da vendere al dettaglio. Mi vuole poi accompagnare alla fermata dell'autobus e addirittura mi paga il biglietto senza che possa fiatare.

Dalla stazione prendo poi un secondo bus per Tafile, stando seduto accanto all'autista in un sedile senza schienale. Qui cambio stazione e salgo su un pulmino per Dhana piuttosto movimentato, dove avvengono i soliti rimescolamenti di posti per combinare adeguatamente gli accostamenti tra uomini e donne.

Io mi siedo davanti accanto a un ragazzotto che mi espone convintissimo la seguente teoria apocalittica. Avrebbe sentito in moschea che quando saranno morti due leader arabi che portano nomi di animali, scoppierà una guerra tra gli arabi, dopodiché scenderà in terra Gesù, che i musulmani negano sia mai morto, e ristabilirà la pace. Ora, il presidente siriano al-Asad (leone) è morto qualche anno fa, mentre il re Fahd (ghepardo) è anziano e malato… La fine dei tempi sembra vincina.

Mi chiede inoltre chi sia il presidente italiano e se, quando morirà, ne eleggeremo un altro. La domanda apparentemente ingenua tradisce la visione araba del governo “democratico” ereditario. Inoltre, dato che tutti parlano della morte del Papa, mi riferisce per filo e per segno la storia delle fumate bianche e nere che ha sentito dalla televisione!

Quando arrivo alla fermata incontro un turista francese che mi annuncia un certo movimento di turisti all'albergo di Dhana. Peccato! Mi sono isolato involontariamente ma piacevolmente dalla corrente del turismo straniero. Ho paura di essere insofferente, ma cercherò di non esserlo, perché non è una buona cosa creare barriere tra sé e gli altri. Bisogna trovare le cose che ci uniscono, sempre.

Certo è che, seduto stasera con il gruppo di francesi, mi è toccato sentire la lezione della loro guida che, in modo piuttosto superficiale peraltro, ha propinato alcune informazioni ad alta voce bloccando la conversazione di noi altri o le attività dei pochi ospiti che non appartengono al gruppo. Mi tocca anche sentire la conversazione futile di chi non ha cose più importanti a cui pensare (a che ora farai la doccia? Cosa mangeremo? A che ora ci si sveglia domani?). Cerco di trovare il bello di stare anche con queste persone, anche se il gruppo è raro che si apra per sua iniziativa, è per definizione un'entità chiusa su sé stessa. È il lato negativo del viaggiare in gruppo, perché si crea un legame difficile da spezzare e fa perdere tante occasioni.

Ma ritorniamo al pomeriggio: una volta presa la camera ho iniziato ad addentrarmi nella valle per un sentiero ripidissimo in discesa e ancora più arduo nel senso inverso. Sono nella valle di Dhana, dove sono sceso con un'ora e mezzo di cammino e da qui vedo l'albergo che troneggia nel mezzo del villaggio di pietra abbarbicato sul poggio che sovrasta la valle. Mi volgo indietro e mi siedo per riposare. Non c'è anima umana, ma tutto brulica di vita. I canti degli uccelli giungono all'udito mescolati al soffio del vento che risale il bacino e fa fischiare le orecchie. Davanti a me il fondo della valle scavato dal torrente ora secco, disegnato dalle ombre che getta il sole calante: forma curve come il corpo di un serpente che stesse dimenandosi nel verde della natura: è il solco delle acque piovane. Mi sarebbe piaciuto arrivare laddove questo serpente scompare nell'orizzonte, ma il tempo è tiranno.

La serata la passo con il gruppo di francesi, un'australiana e una coppia anglo-israeliana. Mangiamo un pasto squisito cucinato dai ragazzi, poi balliamo e ci intratteniamo nella sala riscaldata da una stufa. Fuori fa freddo e c'è un bellissimo cielo stellato. Uno dei ragazzi, Ahmad, è un danzatore provetto, si muove con la grazia di una gazzella che contrasta con le sue mani grossolane e ci fa ballare il dabke.

Mi è piaciuto molto il modo in cui i ragazzi hanno coinvolto l'israeliano, trattandolo come un fratello. Lui stesso, pur appartenendo al lato del nemico usurpatore e prepotente, si è detto impressionato da questa ospitalità di cui non aveva mai fatto esperienza e dice di avere intenzione di studiare l'arabo in futuro.