Yangoon, nel caldo umido dell'Asia

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31 ottobre 2001 - Oggi non è un giorno propizio per viaggiare. Da alcuni giorni le nebbie sono arrivate, poi gli scioperi e ora le autorità hanno stabilito un limite di visibilità al di sotto del quale non è possibile il decollo. A questo si aggiunge il clima internazionale di inquietudine per la guerra in Afganistan e le minacciate ritorsioni del terrorismo islamico. È ben presente nella memoria anche l'incidente occorso recentemente a Linate che ha costato la vita a tante persone. Il mio viaggio a Washington per lavoro di un mese fa mi ha tolto quell'apprensione verso il viaggio aereo che provavo per via di queste circostanze. Ho potuto sfatare lo spauracchio che hanno evocato in noi tutte le immagini degli attentati in America, viste e riviste, nella loro spettacolarità così esagerata da sembrare un effetto speciale; se non ne fossi stato del tutto convito, al Pentagono ho visto personalmente l'ala della costruzione ancora a pezzi dopo lo schianto dell'aereo che, quello, era già stato rimosso.

Vinta quella prova mi sembra di aver superato il peggio; ma i disagi del viaggio invece sono ancora tutti da subire. Infatti il ritardo dovuto alla nebbia (si parte da Orio a Serio invece che da Linate) ci fa mancare la coincidenza a Roma per Bankok. È solo una questione di minuti, ma non c'è nulla da fare. Ci rimane solo la rabbia e la stanchezza, accresciuta dal fatto che ci tocca scorazzare per l'aeroporto alla ricerca dei bagagli che ci serviranno stanotte. La nostra sfortuna è anche quella di altri 15 passeggeri, di cui un signore di Cremona che vive da anni a Melbourne. Troviamo alloggio alla Roma Inn, vicino al Colosseo. Mangiamo al ristorante sardo in via dei Serpenti e passeggiamo per il centro della capitale.

1 novembre - La partenza è alle 14.55, quindi abbiamo la mattinata a disposizione per la città prima di recarci all'aeroporto. Sentiamo la messa in una chiesa armonica e luminosa, decorata di marmi variopinti. Poi camminiamo fino a piazza di Spagna. La temperatura è gradevolissima e il traffico è chiuso. Si respira un'aria di scampagnata con le strade affollate di gente. All'aeroporto si rivedono i compagni di sventura, poi si parte – dieci ore di volo tutte filate. Ci sono molti viaggiatori spagnoli. Man mano viaggio, si fa cosciente e si intensifica il desiderio di scoprire un nuovo paese asiatico con un modo di vita tanto diverso dal nostro. Sono contento di non essere nuovamente in un paese arabo per variare un po' le esperienze di viaggio. Certamente mi sarà più difficile spiegarmi tante cose, ma farò del mio meglio per avvicinarmi e capire da vicino la loro vita.

2 novembre - Arriviamo a Bankok al mattino e facciamo una gran corsa per prendere l'aereo successivo. Il volo è stato pesante per la durata così prolungata, tuttavia non ho sofferto senso di fastidio. La stanchezza è ora estrema, data la mancanza di sonno. A Yangon arriviamo all'albergo con una coppia italiana, Giacomo ed Elena che abbiamo conosciuto in aeroporto al momento di sottoporci all'operazione del cambio forzoso di Fec imposto dalle autorità.

Ci mettiamo alla ricerca di un volo verso Heho per domani e lo troviamo contro ogni speranza, dato che i primi tentativi si erano rivelati infruttuosi. CiImage dedichiamo quindi alla scoperta della città. L'aspetto è degradato e trascurato, ma per questo mi fa piombare di colpo in un clima particolare di questo sud-est asiatico; addirittura mi sembra di rivivere negli edifici un'epoca coloniale mitizzata. Scopro il tradizionale vestito, il longy, e sperimento la dolcezza della gente. I negozi sulle strade sono interessantissimi; sono in un numero infinito e molti offrono merce simile.

Il grande mercato coperto è un posto incredibilmente vario e ci si potrebbero passare ore a scoprire tutti gli oggetti di artigianato in mostra. Diversi venditori offrono cavallette fritte forse anche caramellate, contenute in una grande cesta di giunco intrecciato.

Affrontiamo l'avventura del cambio di denaro. Ci viene proposto un tasso di 700 Kts/$ che non accettiamo perché ci pare troppo basso (abbiamo sentito 720), ma soprattutto poiché le persone che ci accostano in strada proponendocelo non ci ispirano fiducia. Così ci rivolgiamo a una gioielleria e facciamo la transazione al buon tasso di 730.

Dopo di questo è la volta della sospirata pausa: cena frugale, accompagnata da birra con sghignazzamenti suscitati dai tovagliolini che in effetti altro non sono che un bel rotolo di carta igienica camuffato in un contenitore di plastica. La stanchezza fa di questi scherzi.

Sono solo le 19, ma il mancato riposo della notte scorsa mi fa sentire un verme. All'albergo cerco di posticipare un poco la notte lanciandomi in un breve giro dell'isolato. Vedo diversi negozi di orologi e assisto a un festeggiamento, penso buddista, che si svolge nelle strade dove sono accese decine e decine di candeline, vengono sparati petardi e fatte decollare delle specie di mongolfiere che salgono nel cielo grazie alla spinta di una fiamma interna.

3 novembre - La notte, grazie alla melatonina che ho preso prima di dormire, è stata buona e non ho sentito troppo il disturbo del fuso orario. Mi sento così pronto per una mattinata di visite prima del volo alle 15.45. Decidiamo di concentrarci sulla grande attrazione, forse l'unica che si possa definire tale, di Yangon: la Schwedagon Paya. Ci andiamo in taxi ed entriamo dalla porta sud. Man mano si sale si fa sempre più carico l'odore di incenso e più viva l'aura di sacro preannunciata dai venditori di oggetti di culto ai lati dello scalone coperto. Colpiscono anche i fiori che emanano intensi profumi e che vengono venduti cuciti in ghirlande o recisi.

La piattaforma superiore è invasa da stupa, statue, tempietti. È un luogo fastosamente decorato di fiori, ori, specchi e colori. Si riceve una dose di calma e serenità solo scorrendo lo sguardo sull'espressione placida dei Budda raffigurati nelle statue. I fedeli molto devoti compiono rituali di preghiera e di venerazione della divinità. Molti versano acqua da piccole tazze sopra le statue sacre, altri appendono fiori, altri ancora si prostrano e portano le mani giunte davanti agli occhi. In contrasto, altri consumano un pranzo al sacco sotto uno dei padiglioni.

Mangiamo anche noi, dopo aver terminato la visita della pagoda – nello stesso posto di ieri. I camerieri si prodigano in mille attenzioni nella speranza di una mancia. Raggiungiamo Giacomo ed Elena all'albergo e insieme prendiamo il taxi per l'aeroporto. Dopo un volo di un'ora si atterra a Heho e qui incontriamo qualche difficoltà ad evitare le insistenti offerte di un tassista disonesto che ci vorrebbe portare a Nawmshwe per 40$ e addirittura impedisce all'autista del trasporto pubblico di prenderci. Alla fine però la nostra determinazione è vincente e troviamo un pick-up fino a destinazione. A notte calata troviamo il paese allagato dalle recenti piogge e per entrare in albergo bisogna camminare nell'acqua fino alle caviglie. I nostri compagni decidono di cercarsi un posto meno palustre e quindi ci separiamo. La padrona, un vero caporale, ci ordina di fare la doccia prima della cena, tra l'altro molto buona, sulla terrazza della bella palafitta. La stanze sono tutte di teak e si respira una bella atmosfera. Dalla vicina pagoda giunge un suono di musiche fino a tarda notte, associate alla fiera con giochi d'azzardo.