Arrivo a Dakar

30 gennaio. L'aereo plana sopra Dakar dopo un volo di 6 ore e sotto di me cerco di leggere le forme di una metropoli che si cela tra le luci arancioni di pochi lampioni stradali e ingannano, perché è molto più grande di quello che fa pensare questa scarsa illuminazione. È vasta, con le sue popolose periferie distese sul corno di terra proteso nell'Oceano Atlantico, il punto più occidentale del continente. Dakar: mia prima vera città africana, delimitata da un mare nero che sotto il veivolo lascia immaginare di sé soltanto smisuratezza e potenza. Ma come il mare incute soggezione, soprattutto ora che è notte, così l'idea di atterrare nella capitale africana nel cuore delle tenebre mi riempie di interrogativi.

All'uscita dall'aeroporto prendo un taxi per arrivare a Golfe Sud, un quartiere di periferia, da dove chiamo Mamadou, il contatto di couchsurfing, che mi viene incontro alla farmacia del rione. E' un modesto negozietto chiuso e vigilato da una guardia notturna. Sono già le 2 e mezzo, ma in pochi minuti raggiungiamo a piedi la casa della sua famiglia e mi trovo presto disteso sulla gommapiuma per terra che funge da letto per due persone rivolte verso gli estremi opposti del materasso.

 Sento ronzare intorno a me la prima zanzara, ma in questa stagione non dovrebbe trattarsi della temuta anofele. Il caldo della stanza e la mia impreparazione al clima non mi regalano un sonno felice, ma pian piano arrivo fino al mattino con la voglia di scoprire il Senegal, introduzione alla mia Africa.

Mi affaccio alla porta sulla strada. La mattina di questa domenica è popolata di gente e di bambini. Passano anche adulti accuratamente vestiti e fanno una bella mostra di umanità. Il fondo stradale è di bella sabbia dorata, come fosse una spiaggia cittadina; un bell'albero con radici aeree ravviva il tratto dove i bambini giocano ricorrendosi, mentre alcune pecore si accalcano sul trogolo per mangiare. Le abitazioni non molto alte si alzano dalla sabbia e formano un paesaggio urbano del tutto particolare. Se le decorose costruzioni non fossero in muratura, ci si potrebbe credere in un ordinato villaggio.

Ai ritmi della cultura senegalese si sveglia tutta la famiglia, composta da numerose persone tra cui non capisco i rapporti di parentela, né mi informo perché sono sicuro che la complessa compagine familiare non mi permetterebbe comunque di avere una visione limpida. La condivisione degli spazi e la vita comunitaria del gruppo familiare è accentuata. Il capostipite è chiaramente la nonna, relativamente giovane, e l'ultima generazione è rappresentata da una quantità di bimbi che fanno scorribande tra il cortiletto e la strada, incuriositi e impauriti dalla mia presenza. Se all'aeroporto di Milano ero rimasto spiazzato nel ritrovarmi per la prima volta circondato da tanti senegalesi che tornavano in patria, ora mi sento ospite e la gente diversa intorno non mi sorprende più.

Mamadou è un ragazzo intelligente e ci capiamo senza troppe spiegazioni. La conoscenza del francese ci avvicina e crea un ponte laddove l'appartenenza a due continenti, razze e culture diverse sembrerebbe allontanarci. Mi parla della sua aspirazione a dirigere un'impresa e per fare questo ha in mente di specializzarsi in Francia in gestione delle risorse umane, sfidando i vincoli che gli derivano dall'essere nato in un continente dove scarseggiano i mezzi e dove grossi ostacoli si frappongono al raggiungimento di traguardi che altrove maggiori disponibilità economiche non mettono in discussione.

Usciamo per un giro in centro, tra le piazze centrali, gli edifici governativi e di rappresentanza, ma subito dietro si affaccia il mare con le sue acque tanto azzurre e ridenti quanto ieri notte erano oscure e inquietanti. Come nelle periferie avevo l'impressione di trovarmi in un villaggio piuttosto che in una capitale, così qui sulla costa mi sembra di aver abbandonato ancora una volta la città per incontrare la vita di mare che si svolge in una natura selvaggia dominata dal vento insistente.

La stazione ferroviaria, contigua a quella marittima, è un affascinante edificio coloniale che versa in uno stato di abbandono. Le due linee che da qui partivano, dirette a Bamako e a Saint Louis, sono dismesse da anni ma ci sono progetti di ripristinare il treno per il Mali grazie a un prestito del governo indiano che ha anche fornito delle vecchie carrozze. I binari sono abbandonati e su un lato si sviluppa un vivace mercato di prodotti maliani, come il burro di karité, svariate bacche e frutti secchi a me per lo più sconosciuti, incensi, ceste e calabasses. È un vortice che mi risucchia ancora più a fondo nel cuore dell'Africa delle terre più remote e lontane dalla costa. Ma per questa volta sono qui, già del tutto immerso nella nuova missione di scoprire questo paese costiero che mi dà il benvenuto all'Africa occidentale.

Al ritorno, la stretta strada che, deserta ieri notte, mi ha portato fino alla farmacia di Golfe Sud è battuta da un intenso traffico che attraversa il quartiere. Sono per lo più pulmini variopinti, stipati di gente, uno spettacolo di colore. Qualche banchetto che vende arachidi e frutta è allineato ai lati della striscia di asfalto, sulla sabbia che fa da originale marciapiede e si dirama poi per le vie interne del quartiere. Il fumo dei veicoli appesta l'aria, ma per il resto è una periferia caratteristica e decorosa.

31 gennaio. Oggi, che è lunedì, riprende la settimana e i bambini vanno a scuola. Questa si trova confinante a un ampio campo sabbioso di un bellissimo colore caldo. Gli edifici circostanti, un po' scrostati e abbandonati in diversi stadi di completamento, gli fanno un bel quadro che non è dipinto in tinte di degrado. Anzi, è ravvivato dall'enorme chioma di un albero e dal suo tronco poderoso che riporta al mondo della natura anche il paesaggio urbano pesantemente colonizzato dall'uomo. Alcune pecore pascolano laddove erba non spunta.

Il cancello di ingresso attrae da tutte le direzioni frotte di bambini che vengono ad allinearsi nel cortile. Alla scuola pubblica fa da contrappunto l'internato che insegna l'arabo e si concentra su un'educazione di stampo religioso, sebbene la tendenza moderna sia di integrare queste discipline all'interno della scuola che funziona in francese. Le famiglie ricorrono spesso all'insegnamento tradizionale nei primi anni di vita dei figli perché forniscono un'alfabetizzazione ritenuta indispensabile per la cultura musulmana, oltre che tenere i piccoli occupati durante il giorno. Così mi spiegava un giovane maestro esprimendosi con invidiabile eloquenza, tinta solo da una lieve inflessione africana. Ma con le variegate realtà dell'insegnamento avrò occasione di confrontarmi nuovamente.