Storie di pescatori

4 febbraio. Vado alla ricerca degli edifici chiave dell'amministrazione coloniale, il municipio, la residenza dell'amministratore militare, il tribunale e li rivedo tutti dal vivo e in un'esposizione straordinaria di foto d'epoca in una galleria d'arte.

Fuori da un negozio di roba vecchia sta seduto un uomo che è stato incaricato di sostituire il proprietario, ma mi confessa di non sapere come comportarsi con i clienti. Appena si libera mi raggiunge per passeggiare insieme e arriviamo fino all'ospedale, dove vediamo le piroghe che stanno salpando per andare alla pesca. Questo momento deve avvenire assolutamente prima del tramonto o la sfortuna si abbatterà sull'equipaggio. Per questo viaggio in alto mare, che dura da una notte a sette giorni o più, i gruppi di amici danno l'addio ai pescatori che partono, mentre i proprietari delle imbarcazioni stanno sotto le tettoie a discutere di affari. Dati i rischi dell'oceano, l'addio può essere definitivo. Lamine è pescatore e vedere queste scene lo stuzzica in un'infinità di ricordi e di racconti.

 

Con l’occhio sul canale tra l’isola di Saint Louis e i villaggi Guet N'dar e N'dar Toute vedo il groviglio di persone tra cui scorrazzano i bimbi, nati spesso da più mogli sposate allo stesso uomo perché tra i pescatori la poligamia è frequente. L’igiene è scarsa, tanto che per esempio si vedono i marmocchi acquattati sulla spiaggia per fare i loro bisogni in questa specie di fogna a cielo aperto che solo l'alta marea ripulisce e smaltisce a ogni suo passaggio.

Da qualche anno le piroghe non devono più arrivare all'estremità della Langue de Barbarie per uscire in mare, ma solo al nuovo sbocco che è stato tagliato nella lingua per scongiurare un'inondazione che minacciava Saint Louis. In conseguenza di ciò le piroghe vengono amarrate all'interno dell’estuario e al riparo, ma questa breccia ha portato profondi cambiamenti nell'ambiente naturale. Innanzitutto la salinità del fiume è aumentata e sommata all'effetto delle maree mette in rischio le colture agricole che si praticano sulla terra ferma. Inoltre quel taglio di 4 metri aperto nel 2003 si è ampliato in soli tre giorni fino a 200 metri e ora è una voragine di più di un chilometro, mentre il vecchio sbocco si è insabbiato. Risultato: il parco naturale all'estremità della Lingua sta diventando una laguna di acque stagnati e l'ecosistema sarà ribaltato. Ma il pescatore Lamine, quando gli parlo di questi cambiamenti, considera le cose dal suo punto di vista che è opposto, perché per loro le condizioni di lavoro sono migliorate.

Il padrone della piroga fornisce carburante, ghiaccio in scatole di polistirolo per conservare il pesce pescato, cibo, acqua e attrezzatura. Oltre a pagare le spese vive, gli spetta una retribuzione per il capitale investito, poi il resto del ricavo viene diviso tra l'equipaggio. I pescatori di Saint Louis lavorano su tutta la costa perché sono i più esperti del mestiere, ma la pesca si è trasformata molto negli ultimi decenni. L'intensificarsi dell'attività ha impoverito il patrimonio ittico e al largo lavorano addirittura pescherecci coreani che pagano una licenza al Senegal per sfruttare le acque territoriali. Le piccole piroghe vanno allora verso le meno ricche acque mauritane perché i mori non sono molto dediti alla pesca. Nemmeno i pesci sono più quelli di una volta, dato che molte specie sono state razziate e non popolano più le acque accessibili.

Lamine si appassiona sempre più nel raccontarmi la dura vita a bordo della piroga, a descrivermi la composizione dell'equipaggio – fino a una ventina di persone – che per giorni e notti sono costretti a vivere in mare in questi gusci di legno, l'unica loro salvezza, e devono dormire nel freddo, nell'umidità della notte, tra le onde del mare, protetti da qualche indumento e al più una cerata. A turno cucinano la sbobba, dormono, mangiano e lavorano, sempre esposti alle intemperie perché non c'è coperta. Se capita una disgrazia, si tira il corpo a mare, oppure, come è capitato la settimana scorsa, torna nel ghiaccio del pesce. Il mare riserva sempre sorprese e Lamine prende lo spunto per narrare i suoi racconti da marinaio, avventure che ha vissuto, come il naufragio che per poco gli costava la vita.

Una notte di mare grosso, un capitano maldestro ha esposto il fianco della barca a un grosso frangente, la piroga si è sfasciata e l'equipaggio si è trovato in acqua. Come se non bastasse, un asse dello scafo ormai distrutto viene a colpire Lamine sulla testa facendogli perdere i sensi. Sarebbe annegato se non fosse stato per un compagno che l'afferra per la tela cerata e riesce a riportarlo a galla. Una piroga vicina lo trae in salvo insieme ad altri cinque superstiti ma Lamine per due giorni rimane in coma su un letto. Quando riprende conoscenza, trova al capezzale la moglie e i figli in lacrime di emozione. Fino a quel momento non sapevano che direzione avrebbe preso la sua vita, se tornava al mondo o lo lasciava per sempre. Ora è qui per raccontarmi una storia di salvezza, ma la stessa è stata nel contempo una disgrazia per due altri compagni scomparsi in quella notte sull'oceano.

Ma se queste storie di pesca possono apparire terribili, c'è un'altra attività che si svolge sulla Grande Côte e che nasce da speranze grandissime, ma comporta sofferenze e tragedie ancora più enormi. È il traffico di migranti, che si avvale di queste stesse piroghe dall'aria innocente per traghettare persone verso l'approdo europeo più vicino che sono le isole Canarie, a più di 1000 km per l'oceano. Lamine ha tentato anche questa strada, ma è stata un'altra tragedia. Sono partiti clandestinamente nottetempo, stipati in 93 su una piroga che prevedeva di arrivare alle Canarie in 7 giorni. Per colpa del mare grosso e dei venti avversi perdono la speranza di raggiungere la salvezza europea e dopo 12 giorni sono ancora in mare, stavolta di ritorno verso il Senegal. Ma il cibo è finito e così l'acqua potabile, la pestilenza ha colpito l'equipaggio e un giovane è già morto. Suo fratello non ha avuto il coraggio di gettare il corpo in mare e lo tiene al suo fianco da due giorni, ma il fetore che ne emanare impesta i vicini e prima che si decidano a sbarazzarsi del cadavere, muoiono contaminate altre persone. Il bilancio finale è disastroso: 34 superstiti.

L’Africa, continente dove la cupidigia senza scrupoli ha attinto schiavi a servizio del mondo che anche grazie a loro si arricchiva, sforna ora schiavi della povertà e del confronto spietato con paesi più ricchi, uomini disposti a tutto pur di disfarsi del loro giogo. Alla colonizzazione storica, che spiega tuttora effetti profondi sul tessuto del continente africano, si aggiungono nuove forme di colonizzazione più subdola, tra cui certamente una colonizzazione ideologica che rischia di affossare e asservivre ancora di più il continente in cui è nata l’umanità.