Saint Louis

3 febbraio. Credo che l'arrivo a Saint Louis sia una delle cose che non dimenticherò mai. Già alle soglie della città l'ambiente si faceva speciale e annunciava qualcosa di diverso, essendosi arricchito dell'elemento acqua. E questo si è presentato inizialmente sotto forma di strisce che tingevano il paesaggio di colori nuovi; poi ha riempito bacini lagunari e infine inondato il braccio di mare. Sopra tutto, la luce del tramonto era così particolare da dare tonalità fantastiche alle diverse componenti del paesaggio.

La stazione era molto viva e brulicante di passeggeri, venditori e merci. Con un taxi mi sono avvicinato al ponte Faidherbe, in restauro perché i 150 anni alle sue spalle hanno corroso molti parti metalliche; l'ho attraversato a bordo dell'auto e mi sono trovato sull'isola, dove gli edifici coloniali decadenti mi hanno fatto credere di essere in un sogno.

L'Hôtel de la Poste mi si presenta davanti agli occhi come se arrivassi in questa colonia d'Africa dopo una spedizione durata settimane in un secolo indefinito, e non nell'anno 2011 che ha accorciato le distanze in modo innaturale. Mi riporta ai tempi dell'Aéropostale e ancora più indietro a una gloria passata che questi primi scorci mi fanno già amare con tutta l'anima. Sui colori accesi del tramonto si staglia il meraviglioso colore della pelle nera e di abiti che sono tavolozze di pittore. In questo ambiente la vita è gioia e dolore, come dappertutto, ma moltiplicati.

Dall'isola si scavalca il fiume una seconda volta per approdare alla Langue de Barbarie, un cordone litoraneo occupato non più da edifici coloniali, ma dalla vitalità debordante della gente umile che vive di pesca e riempie le strade, i mercati popolari e le spiagge. Tutto è brulicante di bambini che sgattaiolano dappertutto e di adulti che vivono soprattutto per strada e negli spazi pubblici, piuttosto che imprigionati nella loro misera stanza che serve praticamente solo per dormire. Il clima, d'altra parte, permette questo stile di vita. È un insieme senza tempo e senza spazio, sospeso nella stupenda vitalità africana; e tuttavia reale, perché è qui sotto i miei occhi affinché io ne beva a pieni sorsi senza mai sentirmi dissetato.

È in questa zona popolare che approdo su segnalazione di Mamadou di Dakar, che mi ha inviato da un suo corrispondente che dice di non aver mai incontrato. Sono accolto in un appartamento che non è una casa privata, ma la sede di una sedicente associazione che si occupa di bambini. Dauda sembra una persona per bene, ma gli altri personaggi che mi accolgono non mi ispirano per niente fiducia: sembra che il loro scopo nella vita sia bere e fumare. Anzi anch'io sono invitato a fumare erba da subito, cosa che mi insospettisce ancora di più e mi distanzio dal gruppo con un rifiuto. E poi sono troppo premurosi di farmi vedere dei registri con i nomi dei bambini, come per giustificare la storia ai miei occhi.

Arrivano tre giovani francesi, altissimi e con i capelli rasta o arruffati, ma al di là del loro aspetto, non sono cattive persone: sono solo vittime delle loro stramberie giovanili. Parliamo e familiarizziamo, mentre mi raccontano della loro migrazione dal Marocco attraverso la Mauritania fino a che sono entrati in Senegal, proprio oggi.

Per questa prima notte rimarrò nella camera che mi hanno dato. Ho una chiave con cui posso chiudere, ma non un letto. Un belga, anche lui ospitato con i suoi compagni, mi presta un materassino che mi evita di coricarmi sul duro pavimento. Passerò la notte alla bell'e meglio, ma ho già preso la decisione: domani non aspetterò che si svegli nessuno e partirò alla ricerca di un altro posto. Solo con questa speranza di fuga riesco a sopportare il senso di disagio.

Esco per cena e conosco un simpatico bretone che è venuto a vendere una vecchia auto qui, come è solito fare una volta all'anno. Così si paga il viaggio e la vacanza e vive un'avventura in Africa, accompagnato dalla sua amica della Casamance.

4 febbraio. Già prima delle 8 ero in strada con bagaglio in spalla e attraversavo a bordo di una piroga il fiume, laddove il ponte è stato distrutto dal tempo. Avevo lasciato una nota al "presidente" dell'associazione che giaceva abbandonato a un sonno drogato sulla stuoia del soggiorno. Lo ringraziavo dell'ospitalità, ma me ne andavo con la scusa che ho bisogno di un materasso per dormire. In realtà la notte non è passata così malaccio, ma c'è qualcosa che non mi quadra là dentro.

La piroga che mi traghetta all'isola nel fiume segna lo stacco da questo ambiente torbido e con un senso di liberazione mi fa iniziare una giornata appena nata con un vivissimo entusiasmo, come fosse la mia nuova vita a Saint Louis. L'ostello è carinissimo, un bell'edificio bianco con le imposte dipinte di blu, pulito e grazioso. Prendo la camera e faccio la colazione nel cortile mentre conosco altri ospiti francesi, ma presto sono impaziente di uscire in esplorazione.

Il mercato sembrava più attivo ieri sera, ora sta solo iniziando la sua attività giornaliera e non c'è molto movimento. La merce è sempre misurata, i banchetti consistono spesso di un'esposizione di pesci od ortaggi letteralmente contati. La sporcizia è somma, nugoli di mosche si alzano dal pesce al passaggio di una persona, mentre gli odori assalgono le narici. Saint-Luis è straordinaria.