Praga

pragaA Praga il primo impatto è stato con l'Oriente. Due cinesi all'aeroporto erano in fila per comprare il biglietto dell'autobus e sono riuscito a capire alcune parole, frutto dello studio degli ultimi mesi. Con compiacenza mi vedevo viaggiare quindi ancora più verso est, ma sono già molto contento di essere nell'oriente di quell'Europa che ho ultimamente snobbato a favore di destinazioni più esotiche. Sono proprio i tanti visitatori che qui sono venuti a conoscere le nostre belle città europee a farmi capire che importanza hanno nel panorama delle civiltà del mondo, anche se ci sembra una cosa scontata. A una distanza di un'ora di comodo volo, è sciocco non approfittarne.

All'ostello è ancora l'Oriente che mi attende: un signore giapponese mi coinvolgeva con la sua storia, raccontata in un inglese lento ma preciso, mentre cercava nella mente le parole e faceva a volte suonare ad alta voce qualche espressione nella sua lingua per cercare più a fondo nella memoria. È un uomo di 51 anni, un ingegnere che è partito per tre settimane lasciando a casa la moglie. Un viaggio di una durata inusuale per un giapponese e gli chiedo perché.

Eravamo arrivati nello stesso momento e siamo stati registrati in successione. Al banco di accoglienza, sarebbe stato facile prenderlo alla leggera. Quando riesce a capire la procedura di registrazione, emette strani versi che risultano piuttosto buffi e lo fanno sembrare un sempliciotto. Ma fin dall'inizio, avevo deciso di portargli il massimo rispetto, pronto a disapprovare chiunque non avesse fatto altrettanto, nella consapevolezza che il suo comportamento era frutto di una educazione e che al tempo stesso stava facendo uno sforzo per comunicare in inglese con l'impiegata.

Per dirla tutta, in camera mi sono trovato per un poco a dubitare della sua acutezza perché aveva trascinato su per le scale la sua enorme e pesantissima valigia, invece di prendere l'ascensore fino al secondo piano. Ma piuttosto che ridere su di lui, ho riso con lui. E siamo diventati amici.

Quando gli ho chiesto il perché della durata del suo viaggio, mi ha confessato che sta compiendo un viaggio di ricerca di sé stesso. Mi racconta che era un ingegnere alle opere pubbliche in un ente pubblico e si è trovato a realizzare un progetto che non condivideva e che non rappresentava un buon utilizzo del denaro pubblico. La grande costruzione che doveva curare si doveva innalzare di piano in piano e addirittura oscurare il sole a tanta gente che viveva di fronte.

I suoi principi sono stati calpestati e non ha più potuto convivere in questo conflitto. Allora, piuttosto che scendere a compromessi, ha deciso di lasciare il lavoro, nonostante tante persone gli avessero consigliato di non essere così drastico. Ma lui, che inizialmente amava il suo lavoro, era già probabilmente amareggiato per tante cose che aveva visto con i suoi occhi puri e non le aveva accettate.

pragaGli dico che anch'io lavoro nel pubblico e sorridiamo, con la complicità di una comunanza tra le nostre vite. Ma chissà quanto è diverso il modo di lavorare del settore pubblico in Giappone. Se ha lasciato scandalizzato il suo posto di laggiù, cosa farebbe in Italia?

Mi chiedo interiormente anch'io quante cose ho visto che hanno rappresentato uno spreco di risorse – tantissime, forse tutte. Per condividere la filosofia, bisogna entrare nel sistema e adeguarsi. E secondo me questo può avvenire in soli due casi: o per mancanza di spirito critico o per convenienza, perché anche cavalcando questo cavallo qualcuno si alza sopra gli altri e va avanti. Lui invece non si è adeguato, anzi, ha compiuto un passo ardito che io forse non arriverei a fare. Preferisco dissociarmi, se vedo qualcosa che non mi va, ma in una sfera privata.

Praga è illuminata da una luce bellissima e le strade sono gremite. Le facciate dei palazzi sono splendide e fiabesche. Ma in mezzo a tanta bellezza di costruzioni, sono piuttosto due personaggi umani che mi commuovono questo pomeriggio, due musicisti di strada in età avanzata.

Anche qui il primo impatto poteva facilmente essere l'atteggiamento di scherno, come ho colto dalla risatina di una donna a braccetto di un uomo, che trova forse la scena buffa.

Vado oltre alla reazione superficiale che potrebbe scaturire dall'osservazione "sociale". Spesso quando si osserva qualcosa, bisogna combattere per non giudicare con i filtri delle convenzioni e non vedere con gli occhi che crediamo di dover avere, che forse non sono gli occhi veri di nessuno. Bisogna lottare per sentire la fioca voce del giudizio personale e chiedersi se la posizione che assumiamo è in conformità con i nostri valori. È meglio a volte trattenere quel commento sciocco che se non avessi fatto tu, qualcun altro l'avrebbe fatto comunque, tanto per far divertire tutti, perché a volte si esprimono idee che in fondo non pensiamo veramente.

Essendo solo, riesco ad osservare meglio quest'uomo, probabilmente un ebreo. Il suo capo è coperto e i capelli lunghi e scarmigliati gli scendono da sotto la calotta, grigi. Sulle gambe ha posato uno strumento musicale che emana, al giro di una manovella, un suono lamentoso, ma che tocca l'anima. Per l'antichità della melodia, forse, mi incanta. O forse è per l'ingegnosità di questo atavico e insolito strumento che sta cantando storie con note che provengono da chissà quante generazioni.

Oltre l'angolo un altro personaggio si sta esibendo in una specie di varietà. La tromba e la voce sono deboli in confronto alla musica registrata che anima lo spettacolo; il suo fiato non è più molto forte. Ma lui non demorde e si presenta come un arzillo vecchietto dai vispi occhi azzurri in un abito nero completo di cappello. Questo personaggio mi ispira tenerezza protettrice nei confronti della sua età e spero in cuor mio che non sia qui ad esibirsi per bisogno materiale, ma piuttosto per passione dello spettacolo di strada che forse è stato la musa della sua vita.

Girovago per la città toccando i suo i vari quartieri dalle anime diverse. Mi è sembrato che alcuni luoghi che prevedono un biglietto di ingresso non sempre meritino il prezzo che chiedono. C'è tanto da vedere anche al di fuori di questi, che ci si trova saziati dello spettacolo di facciate e palazzi in una città originale nella sua architettura un po' eccentrica.

Ho comunque voluto provare a vedere la sinagoga antica di Praga, costruita in stile gotico, ma non ne sono uscito soddisfatto per quello che ho pagato e lo stesso è successo al castello, che è aperto comunque al pubblico nelle aree dei cortili e nella navata della cattedrale di S. Vito. Penso che questi sarebbero stati sufficienti, anche se mi è piaciuta parecchio la volta gotica con nervature intrecciate nella sala delle incoronazioni.

Dato che l'esperienza della sinagoga è stata deludente, ho deciso di non comprare il biglietto per gli altri siti ebraici e sono invece stato al cimitero ebraico che si trova fuori dal centro. E' tutt'altra cosa rispetto a quello storico e affollato del centro e si trova in un angolo, accuratamente separato, del grande cimitero cristiano.

Ci si domanda davvero che cosa separi l'uomo, soprattutto dopo che è morto, e che cosa giustifichi la sua deposizione in uno o in un altro campo, come se quelle divisioni già orrende che hanno segnato tante fratture durante la vita debbano valere anche per un'anima defunta. Ma il cimitero è in realtà una città dei morti per i vivi, con le loro logiche che non sono prorpio immortali, checché dicano le frasi riportate sulle lapidi.

Alla prima visita, la parte ebraica l'ho trovata chiusa e mi sono avventurato ad attraversare da capo a capo la parte cristiana. Era molto tempo che non entravo in un cimitero; io non sento un legame affettivo verso la tomba di un defunto. Questo cimitero è del tutto diverso da quelli a cui sono abituato. I folti alberi fanno una copertura a chioma a questo spazio ombroso invaso da migliaia di tombe, tutte sotto le fronde e  occupanti uno spazio di terra che si contendedono con la vegetazione straripante dalle aiole e dai vialetti. Dove le tombe sono piu antiche, l'edera si abbarbica lungo le steli di pietra e le ricopre fino a farle scomparire. La natura si riappossessa di ciò che è suo e con la sua forza sembra isolare una presenza estranea, eretta dall'uomo a ricordo di qualcuno che ha poi dimenticato nella breve parabola dell'esistenza degli stessi superstiti.

Anche il mio amico giapponese continua i percorsi di visita per Praga e la sera ci confrontiamo su quello che abbiamo fatto, magari anche mostrandoci le foto che abbiamo scattato. Lui ha un'attrezzatura all'avanguardia ed è orgoglioso di dirmi che tutti hanno macchine di fabbricazione giapponese.

Quando è tornato la prima sera e mi ha visto impegnato ai fornelli mentre mi lessavo delle patate e friggevo delle salsicce per cena, mi è sembrato sorpreso. Lui non cucina, mi confessa; sua moglie pensa a tutto. L'ho invitato a mangiare quello che avevo, ma lui aveva già comprato dei tramezzini e si è seduto al tavolo con me. Poi ha portato delle bustine di un tè giapponese tutto particolare per offrirmene una tazza.

Peccato che stava versando l'acqua dal bollitore senza averla scaldata, ma l'ho fermato in tempo e siamo riusciti a bere un tè decente. Questo tè, dice, gli serve per superare la nostalgia, anche se è partito da solo una settimana. Mi ha confessato che stasera, prima che parlassimo, era immerso in un po' di malinconia, ma poi l'ha dimenticata nella conversazione.

Che strano! Da una parte è più grande di me e ha una famiglia con due figli, cosa che lo rende ancora uomo ancora più adulto ai miei occhi. Però, d'altro canto, lo vedo anche come una persona spaesata e indifesa.

La terza mattina, si è svegliato presto come ieri, ma non è uscito a scattare foto con la luce dell'alba. È stato per un'ora intera ad armeggiare con quella sua enorme valigia che ha tirato a fatica fuori dallo scompartimento e mentre cercavo di dormire gli ultimi minuti sentivo soltanto un aprirsi e un chiudersi di cerniere. Che buffo... Quando mi sono finalmente alzato, era ancora alle prese con questo mostro a scomparti e immagino che tutti gli altri in camerata lo stessero maledicendo. Io in quattro minuti mi sono vestito ed ero pronto per salire a prendere la colazione.

Lui è comparso dopo un bel po' quando io ero accomodato su un divano dopo la colazione e stavo leggendo, in questa mattina uggiosa con qualche goccia di pioggia che ha bagnato tutti i selciati delle vie e li sta facendo risplendere di una luce nuova. Incurante della mia occupazione, si è seduto di fronte a me e ha iniziato la sua lenta conversazione che ho comunque la pazienza di sopportare per abbastanza tempo.

E così oggi mi ha raccontato della sua famiglia: di suo figlio che è direttore d'orchestra e che si sposerà l'anno prossimo a 26 anni; di sua figlia, ora disoccupata per una ristrutturazione aziendale, disegnatrice grafica; e di sua moglie, assistente di anziani e devota del suo lavoro.

Solo lui si è trovato insoddisfatto della sua carriera e ha deciso di ripartire da capo. E vede il contrasto tra sé stesso e i tre membri della sua famiglia che, come gli hanno detto tante persone, sono così determinati nei loro piani, una rarità per i tempi moderni.

Questo è così vero che io stesso mi accorgo di aver lasciato molto spesso la vita decidere per me e non ho cercato di guidarla in una direzione che non ero sicuro di prendere perché vedevo un panormama nebbioso davanti a me e non sapevo esattamente a che meta sarei potuto arrivare.

Visito in giornata i quartieri più moderni della città che sono affascinanti quanto quelli più antichi. Alcuni edifici che mi ostino a scovare tra le vie meno frequentate testimoniano la presenza di scuole architettoniche, come quella cubista. Niente di che, per il vero, ma comunque sono scuole estetiche che hanno ricercato il bello e il funzionale e ora stanno a documentare la storia dell'architettura.

La sera il giapponese è sconvolto perché il suo cellulare non si collega alla posta elettronica e non riesce a parlare direttamente con la sua famiglia. C'è un computer a disposizione di tutti da basso, ma lui vorrebbe far funzionare il suo telefono con l'abbonamento a Vodafone che ha preso apposta. Sembra che sia una catastrofe.

Ma ancora più quando parla del suo prossimo spostamento per Budapest in treno. Dice che ci metterà ben cinque ore, un'eternità. Gli ricordo che ho fatto viaggi in treni per 10 ore e più e che cinque ore mi sembrano un'inezia, ma lui mi guarda come se fossi un marziano. Immagino che mi prenderà per un matto a negare il valore assoluto del progresso e della tecnica, con la loro compagna che è la velocità. Preferirei viaggiare in un treno indiano frequentato anche dai coleotteri, piuttosto che rinchiuso in un monorotaia che sfreccia per le campagne, ma non glielo dico. Sarebbe un colpo di grazia.

Già che siamo in argomento di treni, si sfoga su un altro punto che ha trovato inconcepibile: la numerazione dei vagoni in Europa. se capisco bene quello che intende, dice che è assurda perché non parte da uno per ogni convoglio, ma si trovano numeri come 3576. Oltretutto si riferisce ai treni della Germania, che immagino siano i più efficienti in Europa. Chissà cosa avrebbe da dire sui nostri in Italia, che spesso fanno lamentare anche me! Capisco che davvero viene da un paese a parte.

L'ultimo tocco a Praga sono la fortezza Vysehrad sul colle di fronte al castello e alcuni quartieri ai suoi piedi dove si osserva un ambiente più trascurato nelle facciate e nelle strade. Sono contento di camminare in queste zone che mi fanno pensare all'era comunista di questo paese quando non era ancora invaso dal turismo ed era addirittura tenuto separato dall'Occidente da barriere impenetrabili.

Con questa è la seconda volta di questi pochi giorni a Praga in cui mi sono estraniato dal circuito dei turisti. Sono anche andato in treno a Melnik, una cittadina di provincia carina, dove la cosa più interessante che ho potuto fare è stata godermi una enorme birra sorseggiata mentre terminavo la lettura di The end of the affair sulla terrazza di un bar della piazza. Intorno a me le facciate degli edifici delimitavano l'ovale della piazza, mentre a poca distanza una chiesa si affacciava su un terrazzo che domina le campagne. A pranzo, alcune persone venivano a mangiare in questa birreria in una cittadina che offriva una immagine diversa della Repubblica Ceca al di fuori della sua splendida capitale.