Due templi hoysala

ImageOggi è stata una giornata di spostamento massacrante. Non so quanti chilometri, ma le ore le posso contare agevolmente e sono queste che hanno fatto la differenza.

Sono partito alle 7.30 da Hampi per raggiungere Hospet in pullman. Da qui sono ripartito per Harihar, poi ancora immediatamente per Shimoga - ad altre due ore di distanza; quindi per Chickmagalur a tre ore di strada e infine per Belur con gli ultimi 30 minuti di marcia.

Il secondo spostamento è stato il più penoso perché l'autobus arrancava sulle salite e non riprendeva in velocità. Ma gli altri, anche se meno faticosi, si sono sommati uno dietro l'altro e sono arrivato alle 19. Con una giornata così, ho rimpianto il pullman notturno che avrei potuto prendere direttamente da Hampi.

Il paesaggio, infatti, non è stato particolarmente interessante, tranne nell'ultimo spostamento quando ci siamo addentrati per belle vallate. Sono così arrivato in zone collinari note per la coltivazione del caffè. Sono apparse in massa anche belle risaie nella parte finale del viaggio, sostituendosi alla campagna che fino ad allora era stata o brulla o coltivata, ma non offriva panorami significativi.

A Belur ho trovato una camera nella pensione statale dove ho mangiato anche una buona cena. Passeggiando lungo il viale che conduce al tempio spicca l'elaborata torre popolata di statue nel suo biancore dell'illuminazione artificiale. Si sente un gruppo di preghiera intonare canti corali al ritmo di campanelli metallici. Poi incontro una processione nuziale che si dirige al tempio preceduta da musici.

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1 febbraio - Rivedo il tempio di Belur alla luce del sole, una struttura interessante non solo per l'architettura, ma anche per i riti che ho visto svolgersi al suo interno.

Fuori è preceduto dalla sua torre bianca a piramide tronca (gopuram), coronata da quello che sembra un paio di corna, come fosse un elmo vichingo o la testa di un bovino. Con la luce del giorno si possono ammirare le statue, alcune delle quali descrivono con immagini fin troppo esplicite i trattamenti intimi che le danzatrici del tempio praticavano anticamente ai pellegrini.

Tuttavia, il fenomeno delle vestali permane vivo e vegeto anche nell'India di oggi, nonostante sia proibito dalla legge. Si chiamano devadasi, letteralmente ragazze sposate a una divinità. Con questo “matrimonio”, voluto dalla famiglia quando la sposa è ancora bambina, inizia spesso una vita da meretrice al servizio delle caste alte. Proprio nel Karnataka questo fenomeno è particolarmente vivo, oltre che nell'Andhra Pradesh.

Molti critici e attivisti hanno attaccato questa pratica rituale che ripropone con tratti particolarmente scabrosi un volto dello sfruttamento di casta, ma nonostante ciò centinaia di ragazze vengono avviate su questa strada ogni anno. Dopo la cerimonia di sverginamento, una devadasi di solito entra sotto l'egida di un protettore, il quale dietro un compenso, può assicurarsi il diritto di mantenere la relazione indefinitamente o fissare una scadenza. Anche nell'ambito di una relazione a tempo indeterminato, la ragazza può intrattenere altri clienti, a meno che non sia diversamente stipulato.

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All'interno del complesso sta per iniziare il rito mattutino di apertura. Un gruppo di sacerdoti cinti ai fianchi da un semplice telo bianco apre il portone del santuario, fiancheggiato da un ricamo strabiliante di sculture a pizzo realizzate nella pietra nera. Agli stipiti spiccano due figure femminili con prosperosi seni scoperti. Tra gli incensi fumanti, risuona una musica avvolgente e suoni travolgenti che scandiscono il ritmo divino.

Le porte si spalancano, i numerosi fedeli si accalcano per vedere, ricevere la benedizione, accostare le mani alla fiamma accesa che viene portata da un sacerdote su un vassoio. Alcuni raccolgono tra le palme giunte una dose di acqua che viene recata prima alle labbra e poi spalmata sul capo. I sacerdoti entrano ed escono dal sancta sanctorum e impartiscono bruschi ordini ai fedeli.

A pochi chilometri da qui si trova Halebid, con un altro importante tempio sulla riva del lago. Prima Belur e poi Halebid sono state capitali dell'impero hoysala (sec. XI-XIV), che ha sviluppato un particolare stile architettonico templare, particolarmente originale dopo l'indipendenza dai Chalukya di cui erano vassalli.

Intagliata nella pietra spunta la tigre, simbolo dell'impero e tante altre sorprendenti figure cariche di minuziosi dettagli, resi possibili dalla finezza dello scalpello e dalla tenerezza della pietra. La leggenda racconta che il capostipite Sala avesse ammazzato (hoy) una tigre, seguendo il consiglio di un maestro jainista.

Proprio a Halebid rimangono tre bei templi giainisti che un custode, seguace di questa religione che ormai conta un'unica famiglia nel villaggio, mostra ai visitatori, facendo suonare con un tocco le lamelle delle colonne lavorate così sottili che emettono un suono metallico.