Arrivo a Mysore

A Mysore arrivo nel tardo pomeriggio e ho tempo di cercare un albergo con la luce del sole, un lusso che a volte mi sono dovuto dimenticare.

Di sera il palazzo del Maharaja si accende illuminato da migliaia di lampadine che seguono ogni suo contorno e ogni suo profilo. Dietro due scenografici cancelli di accesso, separato dalla grade estensione del parco, si staglia la sua figura risplendente nella notte. Appare così solo per un'ora ogni domenica sera.

Tra i due cancelli si eleva il gopuram di un tempio induista. Per accedervi, la gente sta in fila lungo due corridoi delimitati da ringhiere. Un uomo però si fa strada aprendo un cancello e attraversando le transenne seguito dal suo figlioletto, incuriosito ed eccitato. Dietro arriva anche il sacerdote che regge un vassoio di metallo con alcune scodelline. E' cinto ai fianchi e ha libere le spalle.

Una moto aspetta parcheggiata in attesa di ricevere la benedizione. Il sacerdote intinge le dita in vari recipienti che contengono pastelle di colori diversi: giallo e rosso. Passa il dito indice e medio su diversi punti della moto, incominciando dal parafango e proseguendo in circolo toccando perfino il tubo di scappamento, che per fortuna non sembra rovente. Finito il giro, appende una ghirlanda di fiori tra i due specchietti retrovisori e infila nella manopola del freno due stecchini di incenso acceso.

Il proprietario della moto, con lo sguardo riverente, sembra soddisfatto del lavoro svolto e riaccompagna devotamente il sacerdote all'interno del tempio, sempre seguito dal figlioletto che ha ammirato la scena un po' come ho fatto io, catturato dallo stupore di assistere a un rito dal sapore magico.

Tuttavia tra il bambino e me c'è una grande differenza: per lui questo momento rappresenta un mattone della costruzione che sarà il suo patrimonio di cultura, mentre io lo vedo con gli occhi stupiti di un estraneo. Dal mio punto di vista, non posso che prendere atto della diversità o al più tracciare paralleli con quanto conosco del mio ambiente.

Propendo per questa linea, ritrovando punti comuni tra due mondi che a prima vista sembrerebbero separati da abissi senza fondo. Anche incorporata nella cultura cattolica, infatti, si trova una forma di benedizione di oggetti, forse meno magica e più razionalizzata, ma fondamentalmente con lo stesso significato ancestrale che risale alla notte dei tempi in cui l'umanità attribuiva al sacerdote e allo stregone il potere di agire sulle cose.