Nelle campagne di Ninh Binh

Image Nella giornata di oggi ho affittato una moto per arrivare alle rovine dell'antica capitale Hoa Lu. Sono dovuto uscire dalla città per diversi chilometri e poi svoltare verso le montagne e addentrarmi per i campi. Nelle ore mattutine l'aria era ancora fredda e viaggiavo con la felpa appena appena comodo. Anche qui è in costruzione una strada smisuratamente ampia e si deve attraversare un cantiere con i mezzi al lavoro. Forse la sua larghezza è simbolica e proporzionale al significato che il sito riveste per la storia del Vietnam, dato che qui sorgeva la sua capitale durante la dinastia Dinh.

La moto che guidavo si descrive compiutamente con il termine "catorcio". La gente mi faceva segno che qualcosa non andava bene sul davanti e in effetti il fanale stava sempre acceso e non c'era modo di spegnerlo. Cosa strana, questo fatto attirava l'attenzione di molti, che mi segnalavano ciò che per loro appariva come un grande problema. Forse è vietato dal codice della strada? Poi mi hanno segnalato una gomma sgonfia, fortunatamente non forata, che ho potuto fare gonfiare. Il tachimetro inoltre non funzionava, ma soprattutto il motore emetteva un rumore preoccupante di ferraglia appena si superava una certa velocità e sembrava pronto a gripparsi da un momento all'altro.

 

Image Sono arrivato comunque alle vestigia e le ho visitate, trovandole interessanti. Intere scolaresche di adolescenti da Hanoi si erano già riversate sul luogo e ascoltavano la spiegazione di una guida che parlava al microfono protraendosi ben oltre il limite di attenzione dei ragazzi che dopo 15 minuti erano ormai dediti a farsi dispetti, a trastullarsi o a corteggiarsi. Era evidentemente la gioventù della classe ricca, come si vedeva dalle tenute vistose, dalle acconciature moderne e dai capelli tinti di sfumature innaturali, che rivelavano il gusto ribelle ma spesso pacchiano, tipico della loro età, proprio come succede in Occidente.

Quando sono salito in cima a un'altura per ammirare il panorama, ho trovato un gruppo di loro e mi hanno salutato, un po' timidamente. Il gruppetto sembrava a disagio di fronte a uno straniero, ma anche eccitato per la novità che rappresentavo e al loro sogno giovanile che incarnavo, quello di superare confini e costrizioni. Facevano commenti nervosi tra di loro, poi uno di loro ha rotto il legame che lo teneva stretto al gruppo e ha osato chiedermi di posare in una foto con lui. Dopo lo scatto mi ha voluto ringraziare stringendomi la mano, ma con una mano talmente confusa che non sapeva neanche che direzione prendere per incontrare la mia, e poi al tatto così tremante di timidezza, che mi ha riempito di tenerezza.

Sulla strada del ritorno, la moto colpisce con un'altra sorpresa, ma stavolta è colpa della mia imprudenza. Rimango a secco di benzina, ma non devo spingerla molto prima di trovare in un gruppo di case quella che ha il bidoncino di rivendita del carburante e mi faccio rifornire.

A pranzo mi sono fermato in un locale all'angolo della strada. La cucina occupava un angolo dello stanzone e i cibi cucinati erano esposti sotto cupole di rete contro le mosche. La cuoca ha disposto davanti a me sul solito tavolino basso alcuni piattini con ottime pietanze, accompagnate da fresche erbette aromatiche come la menta e altre sconosciute. Con le bacchette si alterna il riso bollito a un boccone di altri sapori: questo modo di consumare il cibo a piccole porzioni è delicato e gentile.

Tornato sulla strada statale, l'ho percorsa per un altro tratto nel traffico pesante fino ad arrivare al fiume. Qui ho svoltato per una strada sterrata e l'ho seguita attraverso bei paesaggi di risaie, di gente al lavoro che piantava le nuove piantine nella terra. Mi sono un po' smarrito per le traverse in questi campi e ho dovuto chiedere indicazioni più volte, anche per rifornirmi nuovamente di benzina. Quando sono arrivato a Van Long e ho preso una barca credendo di vedere il villaggio galleggiante, mi sono accorto di aver commesso un errore nei nomi che andavo chiedendo, perché qui si trattava soltanto di una laguna con un canneto, mentre quello che cercavo si chiamava in tutt'altro modo, pur essendo nei paraggi. Ero però ormai imbarcato e mi sono goduto questa ora e mezzo sulle calme acque ai piedi delle rocce.

Per tornare, la strada è stata molto più diretta e mi sono buttato presto sulla famigerata N1, stavolta con molto più traffico di prima. Le statistiche degli incidenti stradali sono spaventose e si capisce bene il perché. Guidavo cercando di barcamenarmi tra gruppi di biciclette che dovevo superare e che spesso non si mantenevano nemmeno il più vicino possibile al ciglio destro. A volte me ne venivano incontro altre contro mano o ne sbucavano all'improvviso dal lato per tuffarsi d'improvviso sulla carreggiata.

Più grave ancora era il problema dei mezzi pesanti come autobus e camion che mi superavano strombazzando con ogni tonalità di segnali. Ero attorniato dai suoni più gentili, come scampanate che andavano smorzandosi in intensità in un alternarsi di note armoniche, agli squilli spavaldi che perforano i timpani, ai boati sepolcrali che si annunciano con note bassissime e lugubri.

Ma il pericolo più insidioso in mezzo a questa orchestra in movimento è rappresentato dai veicoli che, provenendo dal senso opposto, non esitano, nel superare, a invadere completamente e con prepotenza l'altra corsia. Proprio come ho visto fare a un autobus su cui ero passeggero che nella sua folle corsa obbligava i motocicli che venivano incontro a buttarsi sul ciglio non asfaltato per evitare una collisione frontale. Non so come, ma ce l'ho fatta, e ora sto viaggiando sul treno verso il sud.