Giorni intorno al Registan

Soddisfatto del lungo sonno indisturbato, soddisfatto della ricca colazione, mi metto in moto per visitare la città. Già ieri sera sul farsi della sera, non avevo resistito alla tentazione di percorrere i pochi metri che mi separano dallo straordinario complesso del Registan, trovandolo nella luce del crepuscolo decisamente notevole. Oggi, con una luce solare piena e un'aria molto mossa che rinfresca la temperatura e la rende piacevole, lo vedo in uno splendore smagliante che fa risaltare tutte le sue colorate decorazioni. Passo da uno all'altro dei tre grandiosi edifici disposti in modo così ravvicinato da accrescere il loro effetto imponente su chi si avvicina.

Poi mi dirigo al mercato. Le tende che coprono le bancarelle e le riparano dal sole sono mosse dal vento e formano onde leggiadre di tela bianca. Sotto, i venditori di uva passa, di dolciumi e di semi sono i primi che si incontrano.

All'uscita sono arricchito di tante nuove facce che ho visto e anche fotografato e di un sacchetto di noccioli di albicocca che ho comprato. Mi siedo su un muretto e mi metto a sgranocchiarli in modo meccanico. Mi perdo nei pensieri, cosa che non mi capita spesso, e nel sottofondo mi dico che devo fare qualcosa, forse andare a mangiare visto che è ora. Ma questo dolce riposo è una droga e mi cattura in un circolo di ozio. Quando reagisco, entro in un ristorantino che serve piatti veloci.

Non ci sono più tavoli liberi, ma non ho il tempo di decidere cosa fare che un gruppetto di donne mi ha già invitato al loro tavolo. È una giovane mamma con due figlie e la nonna. Mi porgono premurosamente una coppa di tè, poi del pane. Vengono da Tashkent e la giovane è vedova. Ordino dei ravioli e li mangio, ma prima che li finisca, la famigliola se n'è già andata ed è stata sostituita da due uomini, probabilmente lavoratori del mercato.

Entrando nel bel cortiletto dell'albergo, trovo Jean-Paul con cui mi ero solo presentato ieri. Ora, salutandolo in francese, gli do il la per entrare in una lunga conversazione che tocca tanti argomenti interessanti. Mi intriga, mi fa sentire fonte di informazione oltre che fruitore e scambiamo tante impressioni. Deve passare un'ora prima che mi decida a dire che devo ancora lavarmi i denti, ma mi dispiaceva interrompere questo momento.

Jean-Paul è professore di filosofia a Tolosa, lavora a tempo parziale ciclico per avere sei mesi di spazio per viaggiare e ora sta attraversando l'Asia centrale e toccherà tanti altri paesi. Ma è anche fotografo appassionatissimo, soprattutto del bianco e nero. Ha già pubblicato libri di sue foto e ha un progetto: una foto per ogni paese del mondo. Gliene mancano una trentina, a cui non è ancora potuto andare per ragioni politiche o di sicurezza.

Jean-Paul ha anche già conosciuto praticamente tutti gli ospiti e ci mettiamo a parlare con Kerem, turco, e Johnny, anglo-coreano. Arriva poi una grande famiglia francese che viaggia per festeggiare il 30° anniversario di matrimonio con i 4 figli e qualche fidanzato. Capisco veramente che questa pensione è bella e mi piacerà rimanerci. Ormai mi sento un suo abitante a pieno titolo e ancora di più la sera, quando ci raduniamo tutti per mangiare sotto la tettoia come una grande famiglia molto eterogenea.

11 agosto. Continua il vento che spazza il calore e il clima è piacevole. Ieri sera ho addirittura sentito bisogno di coprirmi un po' di più mentre ero all'esterno. Continuo anche la visita a Samarcanda, ma non voglio passare in rassegna tutti i luoghi di interesse come un bravo scolaretto che si sente a posto solo all'aver svolto interamente il compito. In realtà i monumenti sono un po' ripetitivi, la stessa architettura, le stesse forme, le stesse tipologie di decorazioni a maioliche. Ho pertanto deciso di vedere il cimitero monumentale che svolge una funzione diversa dalle solite madrasa e mi fa apprezzare il senso di pietà che anche gli uzbechi manifestano nei confronti dei loro defunti.

Come di solito avviene in questi luoghi religiosi, un imam accoglie all'entrata chi desideri chiedere la recitazione di una prece e un altro è invece appostato su una panca all'interno di una delle tombe, quella di un personaggio storico particolarmente riverito.

Per il resto le cappelle si susseguono lungo un unico viale e presentano degli straordinari decori. Dietro ad esse si sviluppa invece il cimitero moderno, con diverse lapidi abbastanza sobrie, anche quelle che riportano il ritratto del defunto inciso sul marmo levigato.

Mangio un plov nelle vicinanze del Registan sulla terrazza al primo piano che mi chiedo come potrà trasformarsi durante l'inverno. È una domanda che mi pongo spesso, questa, dato che la differenza di temperatura tra il torrido caldo e il rigidissimo inverno imporrà un radicale cambiamento nella natura, nel modo di vita, nell'abbigliamento. Deve essere davvero interessante vivere un paese come questo e osservare il suo trasformarsi lungo il corso delle stagioni.

All'albergo sono arrivati due nuovi ospiti, Andrei e Oscar, due francesi che Jean-Paul ha già naturalmente conosciuto e con cui sta conversando. Appena entro non perde tempo per presentarmeli. Sono due tipi simpatici, che hanno anche studiato in Italia per qualche tempo, nell'ambito della loro formazione di una delle più prestigiose Grandes Ecoles. Ma, almeno in questo ambiente di viaggio, non si mostrano troppo altezzosi; forse lo è un po' Andrei, ma nel complesso è simpatico.

Esco con Jean-Paul, ora nella veste di fotografo, per un giro nel quartiere vecchio. Quasi nessuno ci andrà, immagino, e gli abitanti che ci vedono penseranno che ci siamo persi, soprattutto quando cerchiamo effettivamente di recuperare la direzione e chiediamo del Registan, ma non per andarci. Inizialmente devo un po' vincere la sensazione di intromettermi nella vita degli altri, scattando foto alle situazioni di vita quotidiana. Ma la gente ci accoglie bene, è ospitale e contenta di vederci interessati. Conosciamo una signora ebrea che ci racconta della sua famiglia sparsa tra Israele e altri paesi, poi tanti bambini insistono per mostrarci il "museo", che immagino essere quello vicino al Registan, dove per il momento non vogliamo tornare.

Invece si tratta di una stanza in una casa della via dove veniamo introdotti con il seguito di numerosi vicini. E' affollata di cimeli appesi al soffitto e alle pareti, vecchi utensili, medaglie, alcune foto di famiglia: è davvero il loro museo di vita.

Poi continuiamo per arrivare alla casa di un fornaio, dove entriamo (io un po' esitante, ma non il mio compagno), curiosiamo intorno al forno tandoori, assaggiamo il pane e ci dissetiamo con del tè che ci viene offerto. Infine, sulla via del ritorno, passiamo davanti alla scena di abbattimento di un albero dal legno giallastro: uomini al lavoro con cunei, mazze, spranghe; alcuni osservano; noi scattiamo foto.

Siamo soddisfatti di questa uscita e torniamo a casa per fare la cernita. Jean-Paul vede una mia foto di alcuni bambini che giocano per strada, in bianco e nero come su suo esempio ne ho scattato molte, e se ne innamora perdutamente: dice che la vorrebbe aver scattata lui, me la chiede, ma come se si aspettasse un diniego per gelosia. Al contrario sono lusingato dall'apprezzamento e gliela prometto.

Intorno alle foto, Jean-Paul costruisce spesso una storia: i visi che ha colto, gli sguardi che ha fissato, le posture che ha immortalato, le interpreta raccontando una spiegazione che gli riesce naturale mentre commenta una relazione di occhiate tra un uomo e una donna. "Guarda, - mi dice infervorato osservando una sua foto, - qui vedi lui e la sua compagna, ma lei non si accorge che lui sta fissando un'altra. Ma c'è di più: lei, qui in primo piano, si è accorta di me e guarda il fotografo!".

Anche la mia foto subisce una scansione attenta e consapevole: le sagome scure dei maschietti che giocano verso cui vanno incontro i bianchi corpi delle bambine, perché illuminati dal sole. Ci costruisce anche qui un'appassionante storia che ascolto incantato per l'analisi lucida e così eloquente. Ma cos'altro potrei aspettarmi da un vero appassionato della fotografia, che ammette di essere passato da certe biblioteche e aver ritagliato con una lametta alcune foto di cui si era innamorato? E che sa citare come fossero opere d'arte, romanzi, capolavori?

La sera mangiamo con due belgi, un americano anzianotto in cui Jean-Paul ha riconosciuto una somiglianza con Humphrey Bogart, come prima in me aveva intravisto il profilo del poeta austriaco Rilke. Quando rientrano i due francesi, si nota in loro uno strano comportamento, una loquacità innaturale e debole concatenamento di idee, indotta dal consumo di alcol o qualche sostanza. Anche quando ho incontrato Paulo qui a Samarcanda e l'ho visto meno euforico dell'altra volta, ho pensato similmente che forse la sua concitazione a Nukus non era del tutto naturale. Chissà!