Arrivo a Tashkent

Uzbekistan1014Da Margilan riparto per Tashkent dove arrivo nell'arco di 5 ore. Mi lasciano alla stazione e prendo immediatamente un letto nell'albergo della stessa. È una bella struttura nuova, con camere a 5 letti e aria condizionata. Il bagno prevede però solo il gabinetto e un lavabo, non la doccia, cosa che trovo del tutto assurda, trattandosi di una bella costruzione di nuova realizzazione come tutta la stazione, del resto. Mi devo così lavare a pezzetti sul lavabo. Poi vado a quel locale che avevo già scoperto in occasione del mio precedente passaggio da Tashkent e ordino un ottimo lagman.

Gironzolo per gli ampi viali di Tashkent, cercando di capire questa città. È strana: non sembra esserci una logica nella disposizione dei quartieri e degli edifici. I viali sono ampi, anzi immensi, ma il traffico è insignificante. Ci sono spazi verdi occupati da enormi alberi che danno l'impressione, in certi angoli, di una città immersa in un bosco fitto.

La polizia è ovunque, praticamente un uomo a vista del successivo forma una catena di vigilanza continua. Quando cerco di leggere, ormai nel buio della notte, la mia piantina per orientarmi e mi avvicino a un faro alla bocca della metropolitana, un poliziotto sbraita e mi ingiunge di allontanarmi da lì.

La metropolitana, sotto terra, è una vera e propria opera d'arte con stazioni realizzate in materiali pregiati e con sempre diversi temi di decorazione. Ma anche qui almeno due agenti su ogni banchina vigilano il movimento e soprattutto impediscono di scattare fotografie: queste gallerie svolgono una funzione militare essendo nate anche come rifugio antinucleare. Alle forze dell'ordine si aggiunge uno stuolo di impiegate della metropolitana: per ogni stazione ce n'è una che vende i gettoni per passare la barriera, una che la sorveglia e a volte altre che passeggiano sulla banchina.

19 agosto. In camera c'è un anziano russo con una lunga barba che è stato corrispondente della BBC e stamattina si è lanciato in un'invettiva contro i mezzi di comunicazione occidentali che hanno dato una visione distorta della guerra russo-georgiana di questi giorni. Secondo lui la causa di tutto è l'interferenza americana che vuole procurarsi un alleato facile, ma sta facendo passi falsi in un territorio nemico. Soprattutto quando questi fatti vengono fatti passare come un abuso di potere russo nei confronti di un suo ex vassallo. Non ho molto analizzato la questione, ma sono sicuro che ogni versione si presta a interpretazioni partigiane che vale la pena di mettere comunque in discussione critica, anche in un mondo come il nostro che pretende di essere informato e oggettivo.

La mattina la voglio dedicare alla visita del mercato Chorsu dove mi reco in metropolitana: un mercato enorme, dato che è a scala di un capitale, pieno di prodotti agricoli. Giro molto tra i vari reparti, alcuni posti al di sotto di una bella cupola moderna. Quando decido di scattare una foto a due ragazzini che vendono le palline di yogurt secco, mi fanno una grande festa e ci lanciamo in uno scambio di conversazione senza parole. Non mi lasciano andare prima di avere messo alcune pallottole di varie forme in un sacchetto per me. Allora decido di fare stampare immediatamente la foto per dargliela e quando ritorno mi danno un'altra dose del loro prodotto. Mi allonano con un carico di formaggio.

Uzbekistan1015Nel pomeriggio incontro Guillaume e andiamo a mangiare sotto gli alberi di un bel viale. Poi facciamo una passeggiata in vari luoghi monumentali della nuova Tashkent, mentre conversiamo e ci raccontiamo le nostre esperienze in Uzbekistan: lui con Kazuki, io da solo, ma attorniato dai mille ricchi incontri che ho fatto. Guillaume mi promette un libro, una catena che gli è stata passata e che dovrò passare a mia volta dopo che avrò terminato la lettura.

Per ritirarlo mi invita a casa della famiglia che lo ospita. È in periferia e ci abitano una gentile signora e le sue due giovani figlie. Va da sé che rimango a cenare con loro, un semplice piatto di patate lesse saltate in padella e tanta anguria, ma il solito spirito di perfetta ospitalità. La signora si aspetta che passi lì la notte senza tornare in centro, ma io ho lasciato il bagaglio nella mia camera alla stazione. Quindi alle 21 mi tocca prendere un taxi, poi la metropolitana.

Le mie ultime ore in Uzbekistan mi riservano qualche ulteriore emozione. Sono rimasto con la misera somma di 9900 sum in tasca e devo pagare il letto dell'albergo che ho occupato ma che stanotte non userò perché se lo facessi sarei costretto a prendere il taxi alle 3 quando i mezzi pubblici non avranno ancora iniziato a circolare. Ma questa spesa non trova capienza nel mio gruzzolo. Invece penso di andare subito all'aeroporto con l'ultimo tram e passare lì la notte.

Quando sono ormai rimasto con 1900 sum in mano dopo aver pagato il letto, la signora mi dice che ora alle 22 l'autobus non circola più. Con i soldi che ho - aggiunge con un ghigno perfido -, posso andare all'aeroporto a piedi. Non mi dispero, una soluzione ci sarà pure. Così esco nella notte carico dei bagagli e vado verso la fermata del pulman. L'aria è ancora calda, la città è calma. Vedo due manovratori accanto al tram fermo al capolinea e chiedo loro dove stia la fermata. Mi confermano che il taxi è ormai l'unica soluzione per andare all'aeroporto a quest'ora e io gli mostro le quattro banconote che ammontano a una misera somma. Loro mi dicono con ottimismo che basteranno e mi invitano a salire sul tram. Mi depositano poco più in là, dove parlano con un tassista a cui spiegano la mia esigenza.

Allah karim, mi dico, perché il tassista emette un grugnito di disprezzo quando gli mostro il gruzzolo, ma mi porta comunque all'aeroporto. Qui devo aspettare lunghe ore prima di partire, ma visto che dopo questa giornata di cammino e di visite varie non ho potuto farmi una bella doccia, quello che mi preme di più è lavarmi. Una volta, nell'aeroporto di Damasco, mi sono rasato con schiuma e rasoio. Non vedo quindi nessun impedimento perché nell'aeroporto di Tashkent mi lavi braccia, gambe e piedi con la bella acqua calda disponibile nei lavabi; poi, già che ci sono, che mi faccia anche uno sciampo. Alla fine mi sento pronto per affrontare pulito una notte in aeroporto, due voli aerei separati da un'attesa di 6 ore a Istambul, un viaggio di un'ora in pulman fino al centro di Milano e infine un ultimo spostamento in treno fino a Bergamo.

A Istambul incontro i miei amici spagnoli che passeranno una settimana in Turchia per riposarsi e ci salutiamo. Io invece tornerò da domani al lavoro. Non so in che stato, ma ci sarò.