Kashan, Persia nascosta

ImageMi sveglio alle 9 al trillo della suoneria, ma per uscire di casa devo svegliare anche uno dei ragazzi che dormono sui materassini in soggiorno. Lo scuoto leggermente sulla spalla e uscendo da un sonno profondo, apre gli occhi per trovarsi di fronte la mia faccia estranea che di primo acchito non ricorda e ha un soprassalto. Poi si riprende e afferra la cornetta del telefono per cercare subito un taxi.

Questa mattina non fa nemmeno lo sforzo di parlarmi in inglese e va diretto con il persiano. Non capisco molto, anzi praticamente niente, ma sento che è una lingua bellissima, fatta di suoni familiari e ricca di intonazioni che mi ricordano tanto il dialetto di Damasco con le sue cantilene melliflue e le gentili "eh" in fine di parola. Come mi piacerebbe saperlo…

Il taxi arriva dopo mezz'ora. Lui si fa lasciare a casa sua, mentre io arrivo a un incrocio di periferia che non è la stazione degli autobus, ma un punto di passaggio dei mezzi sulla strada principale. Tanta gente come me cerca un pulman per la destinazione voluta, ma io non capisco la logica di questo posto. Mi sembra il caos più completo e passo mezz'ora ad aspettare sul ciglio della strada sbagliata. Decine e decine di persone stanno cercando di rientrare a Tehran con movimento opposto a quello che le aveva ieri incamminate verso questa città santa. Ogni pullman che arriva, peraltro già pieno dalla stazione vera e propria, viene assaltato dalla gente che tenta di capire dove va e se c'è ancora posto.

Quando trovo finalmente il lato giusto, mi rifiuto di aspettare oltre in questa maniera sotto il sole cocente e prendo un savari per Kashan. Si tratta di taxi collettivi che partono solitamente con maggiore frequenza appena tutti i posti sono occupati. Arrivati a destinazione, il passeggero che mi stava accanto mi invita a casa sua, dove mi offre frutta e bevande. Mi ci volevano proprio, perché dietro il finestrino la temperatura era straordinariamente alta, con il sole che batteva implacabile lungo la strada che si srotolava attraverso lande desertiche. Mi racconta di essersi sposato da poco seguendo la tradizione, che non prevede praticamente conoscenza tra i futuri sposi, ma la scelta della sposa da parte della madre di lui. Mi sembra una pratica molto pericolosa, ma lui ne va particolarmente fiero.Image

Voglio fare tante cose e prendo congedo dal mio ospite. Said mi accompagna in moto alla locanda ed esco quasi subito per addentrarmi nelle gallerie del mercato coperte a volte. Oggi è deserto in quanto è venerdì e aleggia in questi passaggi semioscuri un'aria misteriosa. Pochissime persone percorrono questi meandri e mi sembrano tutti loschi figuri in agguato in attesa del mio passaggio.

Fuori, l'aspetto della città è antico. Le basse case accolgono nel loro ventre nascosto magnifiche corti invisibili all'esterno. Alcune dimore storiche sono aperte al pubblico e sfoggiano elaborate decorazioni a stucco e pitture raffinate, sovapposte su un'architettura complessa di vari cortili a molteplici livelli. Anche i bagni storici sono affascinanti con le piastrelle colorate rischiarate da luci soffuse.

Nel tardo pomeriggio mi dirigo ai giardini di Fin in autobus. Conosco un curdo iraniano che lavora qui da un anno e per la sua impresa di costruzioni ha già viaggiato in diverse città. È gentile e mi paga il biglietto dell'autobus, poi l'entrata al parco e mi offre un caffè, senza che le mie rimostranze possano fare niente. È intelligente e dimostra cultura, guadagnata con studio individuale e accanito. Si definisce marxista gramsciano e la sua figura intellettuale ateo non si conforma per niente all'idea di Iran che traspare all'esterno:  è il primo dei tanti volti che conoscerò che mi aiutano a dare a questo paese un'anima che va oltre agli stereotipi che avevo. È contento di parlare inglese con una persona vera, perché finora - mi racconta - ha studiato sempre da solo, ascoltando la radio, leggendo libri e parlando davanti allo specchio. Se è così, devo fare tanto di cappello per i risultati. Deplora la condizione curda in Iran.

Rientro a notte caduta, appena in tempo per l'appuntamento con Said che con la sua moto mi riporta proprio ai giardini di Fin! Il traffico è orribile a quest'ora e la strada è diventata un ingorgo inestricabile in cui vedo addirittura un autobus incastrato in senso perpendicolare che sbarra tutto. Ma nessuno sembra innervosirsi o pestare sul clacson. Said decide, districandosi a fatica anche con la moto, di prendere una strada parallela.

La situazione caotica delle strade per via della festa è aggravata dall'usanza del salavati che si pratica in queste occasioni, ovvero la distribuzione gratuita di bevande o cibo al pubblico per guadagnarsi un merito religioso. In tanti punti lungo la strada, i giovani porgono ai passanti e agli automobilisti bicchieri colmi di sciroppo, oppure biscotti o addirittura zuppa. Anche noi ne approfittiamo, alcune sono bevande fresce e buone, altre dolci fino alla nausea. Sulla strada rimane uno scempio di bicchieri di plastica.

Quando torno in albergo all'una di notte mangio il mango e le ciliegie che avevo comprato scegliendo tra i frutti meno appassiti perché qui li vendono quasi fermentati. Ripenso costernato a quello che mi diceva Said: "Ti avrei ospitato a casa mia se non ci fosse stata mia moglie." e mi sembra di risentire la descrizione del suo matrimonio di cui va tanto fiero: non ha conosciuto né frequentato sua moglie nemmeno per un giorno prima delle nozze. Basta, è ora di iniziare a regolarizzare il debito di sonno e a riprendere possesso del ciclo notte-giorno.

Image8 agosto. La galleria principale del bazar si imbocca a pochi metri dalla locanda. Oggi, che è un giorno lavorativo, si sta pian piano animando e mentre i negozianti riaprono bottega e dispongono la merce, i clienti arrivano per popolare il passaggio di movimento e vita. Se ieri era un paesaggio desolato e sinistro, oggi si sta preparando per una nuova settimana di lavoro.

Due splendide cupole si distinguono per grandezza e decorazione tra le già belle volte che accompagnano tutto il corso del bazar. Quando qualcuno mi indica la strada per salire sui tetti e ammiro dall'alto le forme emisferiche che si snodano come un lungo serpentone tutto a gobbe attraverso gli altri tetti per lo più piatti. Tutte le forme sono smussate da uno strato di fango che, con il suo colore naturale, ricopre le costruzioni, fondendole in quel paesaggio di imponenti montagne che dominano la città anche dalla loro lontananza. Qualche cupola piastrellata di azzurro svetta vicina o lontana nel panorama delle tonalità di terra e il cortile di un caravanserraglio si apre come una profonda voragine ai miei piedi. Con circospezione scalo altri gradini che risalgono la cupola del bazar fino alla sua sommità per ampliare il più possibile questa affascinante e insolita vista.