Qazvin e la valle degli Assassini

Image21 agosto. Arrivo a Tehran alle 11.30 con una sosta notturna presso una moschea all'ora della prima preghiera, che ha permesso anche agli stanch ipasseggeri di utilizzare i bagni. Dal Terminal-e Janub prendo un autobus di città che attraversa tutti i quartieri meridionali per arrivare al Terminal-e Gharb, quello dell'ovest. Da qui, oppresso da una stanchezza indicibile accentuata dal calore del giorno, mi imbarco su un pullman vecchio stampo diretto a Qazvin. Durante il percorso cado più volte in un torpore angosciante da cui sento la necessità di dovermi scuotere per riprendere pieno controllo di me, solo in questa terra straniera.

Le vie di Qazvin prima del tramonto sono animate, in questo giorno che precede l'inzio del ramazan. La husseynia è colma di gente che si raduna per incontrarsi. Alcuni giovani si dicono molto delusi delle elezioni, ma ancora di più della repressione brutale che ne è seguita. Danno numeri esagerati sulle vittime, ma è eloquente la loro avversione a un governo che definiscono terrorista. Sono stupito perché non mi aspettavo che alcuni iraniani potessero parlare così il loro paese.

22 agosto. Ho preso un'importante decisione: andrò nella valle di Alamut, la mitica valle degli Assassini, dove potrei passare alcuni giorni prima di ritornare a Tehran. Stamattina non ho avuto tempo di cambiare soldi, ma spero che gli ultimi riyal mi possano bastare per un paio di giorni.

Di buon'ora, sul grande rondò fuori città, trovo un taxi diretto a Moallem Kelaye, al di là delle montagne a nord di Qazvin e al centro della valle di Alamut. L'auto parte appena mi siedo, ma l'autista dopo qualche chilometro vuole confermare una supposizione che dava per scontata, cioè che pagherò i due posti che sto occupando. Dato che non intendo farlo, torna indietro e aspettiamo un altro passeggero che non tarda ad arrivare, ma ripartiti sulla strada questo riceve una chiamata sul telefono e scende, pagando 20.000 riyal. L'autista fa un commento sulla mia sfacciata fortuna.

Nel frattempo i tre passeggeri di dietro, che già si godevano con divertimento individuale la novità di uno straniero a bordo e un inizio di viaggio un po' insolito, hanno iniziato a parlarmi collettivamente e io, arrabattandomi a rispondere, ho stabilito un minimo di dialogo, ma non vado molto lontano. Non si rendono conto che con due parole e due nomi di città non posso sostenere una conversazione in persiano; continuano a parlare e io a fare facce perplesse. A Moallem Kelaye facciamo una sosta, poi l'auto riparte e mi scarica all'incrocio per salire a Gazor Khan.

ImageUn altro mezzo mi porta per gli ultimi 8 km in salita con vista già sulle rocce che sovrastano il paese. È un'impressionante corona rocciosa di forme insolite, lisce, arrotondate, probabilmente una colata solidificata. Si erge impervia e sale a un'altezza considerevole. In cima non si vede un gran che, ma lì ci stava il castello di Hasan Sabbah, che compare in una storia del Milione come il Vecchio della montagna.

Nato da una famiglia duodecimana nell'XI sec., Hasan Sabbah andò al Cairo a studiare nel periodo del califfato fatimide. Si convertì alla corrente ismaelita, impegnandosi a costruire un disegno politico che utilizzava come arma la diffusione della fede. Così, dopo aver conquistato con l'astuzia la fortezza di Alamut, da qui si dedicò alle attività missionarie e di studio, votato a una vita ascetica. La setta dei Nizariti (la seconda setta sciita per importanza che riconosce il ruolo di imam al principe Karim Agha Khan IV) si diffuse così per l'Iran e la Siria ,garantendo la propria sopravvivenza in un territorio politicamente sunnita con la temutissima tecnica di assassini al pugnale nei confronti di personalità di spicco.

L'albergo consiste di una semplice stanza sopra l'abitazione del proprietario. Dentro c'è una piattaforma rialzata che fa da letto a più posti, un tavolo di legno e una panca. La stanza di sotto funge da terrazza, senza parapetto, per affacciarsi sulla piazza del paese, con una moschea in costruzione, alcune auto pubbliche parcheggiate e due negozi. Il grande bagaglio in un angolo della stanza mi dice che qualcun altro dormirà qui stanotte. Non me l'aspettavo.

Salgo verso la rocca e mi fermo a parlare con il giovane guardiano. Ormai ho preso confidenza con il persiano e mi diverto a parlare con la gente. L'accesso alla cima, come lasciava prevedere la vista dal basso, è arduo. Non potevano scegliere un posto meglio difeso dalla stessa natura: l'unica via d'accesso possibile è quella che gira con un sentierino al di sotto della massa rocciosa e si inerpica poi su un fianco superando il dislivello finale.

Una famiglia sta facendo un picnic sotto la tettoia in alto, rompendo il precetto del ramazan. Invitano un addetto a favorire, ma questo, più scrupoloso, rifiuta. Poi mi offrono un frutto. Il padre è contadino e sorprendentemente parla inglese; si vede che è intelligente, solo dallo sguardo. Anche la figlia si avvicina sorridente e mi comunica molta accoglienza con qualche domanda interessata.

Di ritorno al paese incontro il mio compagno di stanza, uno spagnolo di nome César. Ora i negozi sono chiusi e per mangiare dividiamo uno spuntino in camera, attingendo agli avanzi di pane e formaggio. Parliamo di progetti e sento che anche lui è attratto dalla traversata dei monti dell'Elborz fino a Yuj. Avevo sentito parlare di questo percorso avventuroso, ma da solo sapevo che sarebbe rimasto un sogno irrealizzabile. Si tratta infatti di un cammino di due giorni che supera il crinale e scende dal versante settentrionale verso la costa sul mar Caspio. Ma con il bagaglio pesante il percorso va fatto con un mulo. Siamo tutti e due affascinati dall'avventura, ma dobbiamo raccogliere informazioni su alcuni dettagli. Il padrone non ne sa molto e le nostre informazioni si limitano alla ricognizione che ha compiuto stamattina César a Garmarud, il paese di inizio.

Devo valutare se valga la pena di tuffarsi in questa impresa che presenta tante incognite o piuttosto continuare a esplorare la valle di Alamut. La mia decisione propende sempre più verso il negativo. Nel pomeriggio mi isolo in meditazione salendo nuovamente verso la fortezza, ma stavolta prendo il sentiero che scende sul lato opposto del castello. I colori delle terre sono fantastici e virano verso tinte azzurrate per la presenza di insoliti minerali. La pista si perde presto, ma non mi rassegno e scendo in un'altra direzione seguendo il passaggio in ombra intorno alla rocca che mi sovrasta con le sue rocce inaccessibili. Da qui è ancora più impressionante perché l'altezza è verticale e si percepisce tutta la sua incombente presenza.

ImageScendo per una scarpata scivolosa, ma non vedo strada per continuare. Sono pronto a tornare indietro quando sento una voce chiamarmi. È un pastore con un ragazzino, dal profilo molto persiano, il naso pronunciato, sveglio e simpatico. Stanno medicando una pecora che ha il ventre ferito da parassiti. Li raggiungo e cerco di capire se c'è un sentiero che torni a Gazor Khan da qui. Loro mi sconsigliano di continuare e mi dicono di tornare dalla strada per cui sono arrivato. "Più avanti", avverte l'anziano, "c'è pericolo!", ma credo che stia esagerando e per di più non mi va di rifare tutta la salita da cui sono appena sceso.

Dopo una piacevole sosta con questi personaggi, mi rimetto in cammino per trovarmi al livello dell'acqua, ora scarsa, e il sentiero sbarrato da un orrido alto e strettissimo, chiuso sopra dal ponte stradale. Ricordo ora che il pastore mi aveva detto di non stare al livello del torrente. Ora non mi rimane che scalare la parete per tornare al livello della strada. Sopra, i campi biondi di stoppie secche e le rocce ocra sono un quadro incantevole. Sono molto contento di essere qui, ma mi ritorna alla mente la questione che dovevo decidere: cosa fare domani?

La sera con César riparliamo dell'avventura e implicitamente diamo per scontato che domani si partirà per Garmarud e da lì si vedrà cosa riusciremo a fare. Le incognite sono tantissime, ma faremo di tutto per riuscirci. Anche César ha i soldi contati, addirittura meno dei miei. In queste ristrettezze, facciamo una spesa essenziale di viveri sotto gli occhi divertitissimi di due giovani che non si capacitano di come due stranieri debbano lesinare gli ultimi riyal per comprare due scatolette di tonno e una scatoletta di formaggio.