La costa del Caspio e Masuleh

Image25 agosto. Svegliandomi lentamente mi rendo conto che la fatica degli ultimi due giorni la potrò smaltire con solo un'altra notte di sonno, ma nel frattempo non mi do tregua. Il programma per oggi è salire a Masuleh nel primo pomeriggio dopo aver sbrigato alcune commissioni, tra cui il cambio del denaro. Miracolosamente quello che avevamo ci è bastato per portare a termine l'avventurosa traversata, ma siamo rimasti tutt'e due con spiccioli in tasca.

Per colazione compro un dolce tipico di ramazan, fatto di pasta bianca a reticolo ripiena di noci, una specialità del posto. Ma trovare una tazza di tè è un'impresa impossibile. Ci indirizzano a un ristorante con le finestre tappezzate di fogli di giornale dove un giovane è intento a consumare una lauta colazione che ingombra un intero tavolo, ma per noi dicono di non avere tè. Non mi resta che ripiegare sull'acqua per accompagnare i dolci.

A Masuleh affittiamo un monolocale. La valle si sta riempiendo di nuvole che sembrano cadere dal cielo verso la terra e pian piano alcune vecchiette si fanno avanti per piazzarsi sul tetto della casa di fronte a fare la calza e chiacchierare. I loro lavori sono piuttosto brutti, di lane fosforescenti e destinati ai turisti iraniani che visitano questo paesello famoso, ma portano dei caratteristici vestiti a fiori bianchi e neri.

Il villaggio di Masuleh è formato da case d'aspetto omogeneo, abbarbicate a un fianco della montagna, così che il tetto piatto della fila inferiore si trova al livello delle porte di quelle sopra e funge da piattaforma o terrazza. È ben conservato, nonostante un terremoto che l'ha colpito, distruggendo o danneggiando diversi edifici. I numerosi negozietti denotano un certo afflusso di turisti nazionali, ma ora non c'è molta gente.

Passeggiando nell'ora tardo pomeridiana, vedo un uomo che sta battendo con un attrezzo lo strato di terra che ricopre il suo tetto e gli rivolgo alcune domande. Lui ci invita a entrare in casa sua per bere un tè e abbiamo l'occasione di vedere emergere un  personaggio  dalla storia che racconta e soprattutto dalla casa che abita. Quadri fatti di copertine di riviste anni ‘70, vecchi libri su ogni mensola e in ogni nicchia, gingilli dappertutto.

Mentre prepara il tè, vedo la cortina di verde irrorata di umidità al di là della finestra che si apre sul giardino, uno dei pochissimi del paese. Fuori cala la sera e la luce si fa fioca. Entra un profumo di sottobosco che si mescola con l'aria calda interna dal vago sentore di muffa; giunge all'udito il gorgoglio lontano del fiume che non saprei distinguere dal brusio che farebbero delle gocce di pioggia sulle fronde. E intanto il nostro ospite, mentre armeggia al fornello nella stanzina accanto, ingombra di ricordi e cose vecchie come è del resto tutta la casa atavica, racconta del suo passato in Germania dell'Est per studi, di un amico italiano comunista, della sua affiliazione al movimento marxista che gli ha procurato non pochi guai in patria, tra cui il ritiro del passaporto e il divieto di espatriare per sempre.

Questo nord progressista freme ed è inquieto. Prima un negoziante, con lo sguardo mesto e rassegnato, ha richiamato la mia attenzione per confessarmi che rimpiangeva lo shah e disprezzava, come molti, i religiosi inturbantati che governano oggi il paese. Ma ancor più toccante è stata la testimonianza di un giovane che ha intavolato spontaneamente un discorso di riflessione. Nel parlare con due stranieri, non ha potuto fare a meno di toccare il tema che gli sta a cuore, esternare il desiderio di un paese che gli permetta di esprimersi nel pensiero, nelle sue capacità e nelle sue competenze, per costruirlo e mantenerlo al passo dei tempi e all'altezza del grande nome che si è fatto nella storia, ma ora purtroppo affossato da uno spirito oscurantista.

Nell'ascoltarlo esporre le sue idee con lucidità e pacatezza, mi sento incaponire la pelle per tutti i suoi desideri che non potranno velocemente realizzarsi. Lui stesso si aspetta un cambio non prima di 20 anni e su questa nota di sfiducia ha concluso il suo sfogo.

Osservando l'Iran dall'esterno, si coglie soprattutto la sua sfida che lo contrappone alle potenze coloniali passate e presenti. La causa di questa rivalità risale ai torti che gli sono stati arrecati allora come oggi: troppo gravi per poter essere ignorati. L'orgoglio del popolo è stato troppe volte mortificato perché si possa parlare di amicizia e capisco perfettamente la posizione di quanti non sono disposti a subire sempre. Come sopportare l'ingerenza negli affari interni, un colpo di stato organizzato dall'estero per difendere interessi economici, il trattamento riservato a un paese di classe inferiore?

Tuttavia, piuttosto che un risentimento verso l'Occidente, ho constatato spesso, vivendo dentro il paese, che emerge la voglia di un cambiamento politico interno. E' questa la grande priorità che emerge dalla volontà della gente.

Image26 agosto. Mentre le nuvole stanno salendo dalla valle facciamo un giro per le strade del paese di primo mattino. Incontro lo spagnolo di Yazd che ci offre un passaggio nel suo taxi ed è così gentile da lasciarcelo pagato fino alla stazione degli autobus.

Qui l'impiegata della biglietteria, di una bellezza fuori dal comune con profondissimi occhi neri, ci informa che potremo partire alle 15: abbiamo tempo di mangiare un piatto di riso e khoresht. Il viaggio fino a Zanjan è lungo perché si devono attraversare nuovamente i monti, ma superata la cresta si rimane sull'alto dell'altopiano arido che occupa gran parte del paese. Lasciamo alle spalle le verdi montagne, le nuvole e le nebbie, una valle completamente coltivata a risaie e gli olivi che producono frutti carnosi venduti lungo la strada in diversi condimenti.

César si rende conto che non potrà continuare a seguire il mio itinerario che prevede ancora un paio di tappe prima di tornare a Tehran. Deve essere tra qualche giorno in Turchia per prendere l'aereo del ritorno e la strada è ancora lunga. A Zanjan organizziamo il suo viaggio notturno. Entrati in una città pervasa da quella strana calma piatta che caratterizza le ore dell'iftar, ci troviamo un posto dove mangiamo l'ultimo pasto insieme prima di lasciarci, ognuno per la sua strada. Da domani tornerò a essere solo contro tutti, ma ho previsto questa sensazione in anticipo per non essere preso alla sprovvista. Dopo tutto non mi dispiace e me la cavo bene.

Mi procuro una pensione, rendendomi conto troppo tardi che si tratta di una mahmanpazir che chiude al mattino e riapre alla sera, perciò domani non potrò tanto riposarmi, né lasciare il bagaglio in deposito. Inoltre non ha nemmeno la doccia. Per non stare in camera, mi rifugio da un venditore di succhi, dove due giovani insistono per pagarmi la consumazione e parliamo insieme a lungo. Non sono ancora del tutto solo.