Il pulman delle donne

Ladakh285Assistiamo di buon ora alla puja nel monastero. Non è certo la cerimonia comunitaria che dovrebbe essere, in questi giorni: un monaco prega da solo nella sala, mentre un bambino rinchiuso in uno stanzino appartato ripete le sue formule e le scandisce con dei piatti di ottone. Il povero bimbo fa pena, rinchiuso da solo com'è.

Ripercorriamo la piana dal monastero fino alle case. Nel torrente scorre molto meno acqua di ieri, ma fa freddo e sulle montagne più alte si vede che è caduta una spruzzatina di neve. Forse il freddo della notte ha bloccato lo scioglimento delle nevi e dei ghiacci.

 

In un'ora e mezzo siamo di ritorno. Al villaggio vediamo in corso una cerimonia, un matrimonio tibetano con personaggi in costume. Anche i soldati, indiani ma forse più stranieri di noi a questa zona dato che provengono da altri stati, sono accorsi incuriositi e si stupiscono che in mezz'ora tutto sia già terminato. Non si capacitano, se pensano che nelle loro zone induiste, un matrimonio dura più giorni di fila.

Non sanno in realtà che questa cerimonia non è iniziata né finita qui. Infatti la sposa viene da Leh e sta andando a Padum. Lungo la strada il convoglio si sta fermando in ogni paese per incontrare la gente del posto, offrire del cibo e forse raccogliere delle offerte. Avremo modo di incontrarlo diverse volte nel nostro spostamento verso lo Zanskar.

Ma sul piazzale c'è anche un autobus! Ci affrettiamo a recuperare il nostro bagaglio e in fibrillazione chiediamo subito un passaggio per Padum. Dicono che c'è posto e pieni di giubilo leghiamo gli zaini sul tetto. Dopo mezz'ora circa si parte.

Passando in rassegna i passeggeri, noto che sono quasi tutte donne in costume tibetano rosso, con monili di pietre e conchiglie, oltre ai copricapo. Una signora ha anche le mani tinte di rosso e ipotizzo che sia per il suo mestiere. Infatti, alla prima sosta scopriamo cosa è successo: non siamo saliti sul pulman di linea, quello da giorni stavamo aspettando, ma nell'eccitazione di vedere un mezzo di trasporto abbiamo preso quello descritto dallo striscione giallo appeso sul fianco: Associazione delle donne dello Zanskar, di ritorno da un'esposizione di manufatti artigianali tenutasi a Leh.Image

Saliamo faticosamente verso il Penzi La. Sulla lunga salita ci fermiamo diverse volte a caricare sacchi di sterco di bovino essiccato, scorte di combustibile per il rigido inverno. Anche Albert e io diamo una mano a trascinare i sacchi sulla ripida costa, poi li issiamo e li leghiamo sul tetto.

Poi è il momento dei latticini. Lungo la strada ci sono infatti diversi insediamenti stagionali di pastori che vivono in casupole di pietra, insieme alle bestie. Trasformano il latte in cagliata, poi in formaggio fresco, e parte di questo lo tagliano a fettine e lo fanno seccare all'aria, ricavandone un formaggio dal sapore acidognolo.

Le nostre donne, appena vedono i pastori, si scatenano furiose, e reclamano all'autista una fermata immediata dell'autobus, scendono eccitate tutte di corsa, contrattano, barattano, comprano, poi tornano al loro posto con barattoli di plastica pieni di pallottole o fettine bianche. Nella loro foga incontenibile, dimenticano tutto, anche la mia presenza sul passaggio accanto alla porta e mi scavalcano come se fossi un sacco.

Una per abbreviare la sua pazza corsa, appoggia addirittura il suo passo sul mio ginocchio, lasciando una bella impronta di scarpa e facendomi scoppiare dal ridere. Il fatto è che queste donne hanno, rispetto a noi, un diverso senso del contatto tra i corpi. Prima, mentre ammiravo il paesaggio, mi sono trovato una mano molle sulla mia gamba: era quella della mia vicina. Senza malizia, l'aveva appoggiata su di me. E anche Albert sta servendo da divano per la sua vicina, accasciata e addormentata su tutto il suo fianco…Image

Passiamo il Penzi La che tutti salutano esultanti. Subito oltre si vede la fantastica lingua serpeggiante di un lunghissimo ghiacciaio che si snoda da lontananze gelate. La mia vicina è spaventata dalla strada a strapiombo e mima con le mani il pulman che rotola giù, ma la rassicuro prendendole una mano. Mi adeguo anch'io al loro contatto tattile.

Arriviamo alle 18 dopo anche la foratura di una ruota e dopo aver scaricato le donne ciascuna al suo villaggio. Troviamo una camera in un grazioso albergo del paese, in cui incontro i tre italiani di ieri. Come se la memoria fosse qualcosa di superfluo, il giovane noiosissimo attacca con la sua lezioncina sui popoli, ripetendo tra l'altro tutte le cose che aveva già riversato su di me ieri. Ma stavolta non devo più tenermelo buono e tronco la sua tirata con la scusa che ho fame. Che bella la sincerità!