Leh e la valle dell'Indo

ImageAlle 9 passa il pulman per Leh. Presto raggiungiamo la valle dell'Indo e la strada si snoda sugli alti zoccoli di materiale alluvionale nel fondo valle, nei quali il fiume ha scavato il suo percorso. Le sponde sono così ripide, alte e franose, che l'aspetto di queste zone subirà rapidi e profondi mutamenti, salvo che la scarsità delle piogge non rallenti il processo.

Arrivo a Leh alle 14. Mi addentro nella città e cerco di orientarmi in questo grosso centro sovrastato da un palazzo che sembra il Potala di Lhasa. Le vie centrali moderne, però, rivelano la forte presenza di turisti con moltissimi negozi che vendono le stesse merci trite e ritrite, tra cui i tessuti del Rajasthan.

 

Trovo una pensione nella parte vecchia. La camera e soprattutto il bagno lasciano a desiderare, ma la posizione, la vista sul palazzo reale, lo stesso vecchio edificio con il cortiletto e la scala di legno dipinta di rosso lacca compensano tutti gli inconvenienti.

10 agosto – Mi sveglio presto per risalire la montagna e assistere alla puja nel monastero che sta sul cocuzzolo più alto sopra il palazzo reale. In realtà lo trovo abbandonato e scendo per entrare in un altro monastero dove un monaco solitario recita la preghiera avvolto in un denso fumo acre. Le volute danzano nell'aria prima di raggiungere la liberà varcando di soppiatto la porta di ingresso e la coltre è trafitta dai raggi di sole ancora obliqui che provengono da una feritoia nel tetto.

È ora di pensare a fatti pratici. Devo fare sistemare un sandalo scucito e scelgo un calzolaio sulla strada. Ha una coperta stesa per terra come piano di lavoro, sopra sono sparsi i suoi pochi attrezzi: lucidi, pigmenti, spazzole. Lavorando mi dice di venire da Jaipur e che dal 1998 passa la stagione estiva a Leh. Sconsolato, dice di avere cinque figli da mantenere. È la personificazione di un'India delle migrazioni interne e mi ricorda i cuochi di Jaisalmer originari di Calcutta, distante 37 ore di treno.

Secondo problema è la ricerca di una soluzione per arrivare a Manali dopo domani. Il passaggio non è per niente semplice e mi lascia un po' inquieto per il tempo che richiederà e gli eventuali contrattempi. La compagnia statale di bus accetta prenotazioni solo il giorno prima della partenza.

Decido di non compiere nessuna visita ai dintorni per oggi, ma di riposare. In camera mi sdraio spossato. Devo avere ancora la febbre per quel raffreddamento che è diventato tosse e anche un po' sinusite. Se con il paracetamolo non risolvo, domani mi dovrò procurare degli antibiotici, prima di uscire dalla città, dato che sulla strada a Keylong non penso di trovarne.Image

11 agosto - La prima preoccupazione di oggi è procurarmi il famoso biglietto per Manali sul pullman di domani, dato che il tempo rimasto fino al giorno del mio volo stringe e la strada è ancora assai lunga e ardua.

Quindi mi dirigo al monastero di Tiksey che si raggiunge con una corsa di un'ora in un piccolo pullman. La vista del monastero è imponente perché le costruzioni occupano tutto il fianco di una collina.

Mi metto a scalarla seguendo le stradine a gradini in cemento ben sistemate. Ma questo piccolo sforzo, nelle mie condizioni fisiche, mi costa una fatica immane, tanto da farmi rimpiangere questa escursione. Devo ancora avere febbre e ogni salita mi sembra impossibile, sotto il sole pazzesco di qui.

Stabilisco quindi di visitare con molta calma solo le cose di principale interesse e di prepararmi a un altro tranquillo pomeriggio di riposo a letto, con la bella vista sulla vecchia Leh dalla finestra

L'antica biblioteca è affascinante, le statue dei demoni cariche di una complessissima simbologia. C'è poi una grande statua del Budda che occupa due piani della costruzione e attraversa un pavimento.

Ritornando in città, noto un numero straordinario di militari dappertutto. La mia chiacchierona amica tibetana nel suo negozietto mi spiega il motivo: oggi il Dalai Lama è stato invitato dalle autorità musulmane che stanno ultimando la costruzione di una nuova moschea a 300 m da quella principale.

Sembra il posizionamento di una nuova pedina in territorio buddista e mi ricorda il sermone amplificato dagli altoparlanti che usciva ieri sera dalla moschea con toni violenti e adirati. Quanto contrasta con la pacatezza buddista, col placido ed eterno girare delle ruote della preghiera, lo sventolare di delicate bandierine colorate al vento, la ritirata vita monacale. Ricordavo anche con certo fastidio quel musulmano di Kargil sbandierare il suo gretto rifiuto a entrare in un monastero buddista.

Le donne ladakhe sono oggi vestite dei costumi da festa e portano uno stuolo ricamato o il cappello tibetano imbottito. Molti aspettano lungo la via per acclamare al loro capo spirituale, sotto il sole feroce. Anch'io aspetto qualche minuto incuriosito, ma poi decido che il riposo è quello che mi ci vuole. Mi sento lontano dall'atteggiamento di tanti improvvisati paparazzi, ovvero i turisti con la macchina fotografica puntata per catturare l'uscita di un famoso personaggio. Sembra protagonismo vano, riduzione della realtà alla superficialità di un'immagine.

Esco soltanto per cena e mi preparo alla levataccia per il grande viaggio di domani, la traversata dell'Himalaya attraverso gli altissimi passi.