La franosa strada per Delhi

Ho visto passeggiando che proprio sotto la stazione degli autobus c'è un parco di altissime piante che occupa un'estensione considerevole di terreno. Ho seguito per un tratto la cinta, poi ho notato un cancello di entrata e ho pagato le 5 Rps dell'ingresso.

Nel lungo itinerario dentro la foresta si dimenticherebbe di essere in una cittadina, se il rumore del traffico al di là della recinzione non riportasse spesso alla realtà. Tuttavia il profumo della vegetazione e la sua fittezza mi spediscono in un altro mondo.

Sono cedri deodara, magnifici, che svettano diritti verso il cielo con un'alta chioma verso l'estremità. Se si gira nel parco si tocca il lato verso il fragoroso torrente e qui si perde ogni ricordo della città, già che questo scroscio continuo d'acqua è sufficiente per coprire tutti i rumori ormai lontani. Ancora una volta mi sorprendo delle dimensioni della natura di questa India himalayana.

Ho chiesto alla stazione degli autobus se la strada fosse riaperta. Alcuni dicono di sì, altri di no, altri non sanno. Il quadro è incerto, come mi aspettavo. Ho capito che bisognerà aspettare e vedere di persona. Certo è che sono arrivati diversi mezzi, segno che probabilmente la circolazione è stata ripristinata. Vado in un ristorante punjabi per uno spuntino di cheese paranta. Gironzolo fino all'ora della partenza quando mi incontro con Jodie che anche lei partirà per Delhi per gli ultimi giorni del suo viaggio che dura da 11 mesi.

Il pulman è mezzo a cuccette e mezzo a sedili abbastanza comodi, ma non so se la penserò ancora così dopo 16 ore di questo viaggio, salvo imprevisti. Partiamo a velocità spedita lungo la valle in un paesaggio molto verde, anche se stiamo scendendo da quota 2000. Quando alle 22 ci fermiamo per la prima sosta in un ristorante lungo la strada, piove forte. Ordino dei legumi come anche Jodie, ma non mi vanno giù e ne lascio la metà. Sempre questo sapore di curry.

Lungo la strada nella notte si nota una miriade di smottamenti del terreno franoso con caduta di materiale, terra e detriti sulla carreggiata. Spesso anche pietre, evidentemente appena cadute, ingombrano parte della corsia. Vediamo un camion fuori strada rovesciato e ci dobbiamo destreggiare come in una gimcana tra il mezzo accidentato e altri che sono fermi a breve distanza.

Andiamo oltre, ormai è il cuore della notte, e ci troviamo fermi incolonnati. Si spegne il motore, scendo a vedere cosa succede, ma non vedo altro che un intasamento nel nostro senso di marcia e nessun veicolo che proviene dal senso opposto. Si mette a piovere e risalgo a bordo. Sono rassegnato a rimanere qui per ore perché se si è verificata una frana, ci vorrà un mare di tempo prima che la strada venga liberata.

Dopo mezz'ora abbondante in cui il sonno si mischia a questo senso di sospeso, sento avvicinarsi la luce di fari. È un mezzo che ci incrocia, poi ne seguono altri. Presto riavviamo il motore e lentamente procediamo verso il luogo del disastro dove un enorme macigno si è staccato dalla parete e occupa un'intera corsia. A zigzag i veicoli passano dal pertugio liberato tra il masso e il bordo della strada.

Dopo un'ora, all'una di notte, la stessa situazione si ripete e superato lo stato di attesa a motori spenti e la conseguente incertezza sull'esito del viaggio, passiamo davanti a una roccia di simili dimensioni che sfiora la nostra fiancata e i finestrini. Dopo questi due lunghi rallentamenti la strada procede normale, ma lunga. Non riesco ad addormentarmi nel sedile e cerco invano la posizione meno scomoda, coprendomi come posso dall'aria fresca della notte che entra dai finestrini aperti.

Alle 6 entriamo in un'autostrada che conduce a Delhi e alle 8 siamo scaricati in un'ignota periferia al lato di una strada anonima. Si festeggia oggi il giorno dell'Indipendenza dagli inglesi, il 60° anniversario dell'India moderna.

Prendiamo un rickshaw per Paharganj e affitto una camera per la giornata. La sera esco con la mia amica. Ho visto un locale semplice, molto illuminato, per gente di passaggio dato che si trova di fronte alla stazione ferroviaria di New Delhi. Il suo chiarore contrasta con il tetro colore di sporco e fuliggine dei locali intorno. Non so se piacerà a Jodie, ma le chiedo di seguirmi se le va di fare uno spuntino prima di salutarci.

È entusiasta della mia scelta: anche lei è una persona schietta e mi sono trovato molto bene in sua compagnia. Le do l'addio, proprio come sto dando l'addio all'India. Anche lei mi sembra un po' commossa perché in questo abbraccio davanti alla stazione sta chiudendo 11 mesi in un paese che le ha conquistato il cuore e sta volgendosi a un difficile ritorno a casa.

Proprio da qui, tre settimane fa, ho iniziato il mio viaggio verso Amritsar, trovando di notte una stazione invasa di corpi addormentati per terra. Questo è il tempo di una ruota che gira misteriosa e silenziosa non solo nella mia vita, ma nelle vite dell'umanità, unendo passato, presente e futuro nell'immensità delle folle indiane e del mondo, attraverso i continenti, segnando la vita delle creature dei mari, dell'aria e delle terre.