Nel covo dei Bin Laden

DSCNsifAlle 7 stamattina ero in piedi e poco dopo uscivo per esplorare Sif tra i bambini che si recavano a scuola. Le bambine sono già coperte inesorabilmente di nero su tutto il loro corpicino e molte anche sugli occhi e sul capo. Fanno tenerezza quando da sotto questa tremenda cappa trapela ancora la spontaneità e la curiosità  birichina di uno sguardo che ti segue e ti chiede con innocenza una penna o come ti chiami.

Non sono ancora state rinchiuse definitivamente nella prigione del vestito e della casa, condanna perpetua che è il destino della donna qui, firmata dal giorno in cui nasce. Trovo odioso perfino il nome con cui nella lingua locale si chiama la donna, hirma, perché rinvia al concetto di divieto e di proibito. Di donne e di ragazze più grandi non se ne vedono mai in giro.

Finito il giro per Sif, sono le 8 e riprendo il bagaglio per fare autostop verso Hajarayn. Devo aspettare quasi un'ora prima che mi prenda un'auto che mi porta fino alla salita per lo splendido villaggio sul fianco della scarpata. L'uomo mi raccomanda di non trattenermi più di un paio d'ore perché nel pomeriggio ci potrà essere pioggia. Vago tra le case ed entro in un piccolo cantiere dove i muratori stanno lavorando con le mani e spalmano strati di fango su cui dispongono mattoni di paglia e argilla. Mi spiegano che il successivo intonaco di gesso, detto nura, serve per proteggere dalla pioggia il sottostante strato di terra.

Alle 12 mi incammino verso l'ospedale ma un ragazzo mi prende per portarmi in moto e qui devo ricominciare a fare autostop, perché di mezzi pubblici per Khrayba non ce ne sono. In realtà non so nemmeno per certo se ci sia un albergo, ma la gente mi assicura del contrario e mi fido. Al più dormirò in casa di qualche buon'anima.

Dei soldati che scendono da una vettura mi aiutano a trovare un mezzo che mi porta al bivio dove il Wadi si divide in due, un ramo attraversato dalla strada per Mukalla, l'altro che termina con Khraiba.

Mi lasciano a un posto dove ci sono alcuni ristoranti molto semplici e ne approfitto per mangiare. Sono le 12.30 e mi dico che un po' di cibo mi darà energia per continuare questa difficile e incerta giornata. Il pollo con il riso è molto gustoso e sono circondato dalla simpatia di tante persone che si interessano a me e mi rivolgono domande; in particolare l'addetto al pane, che esegue l'operazione di spianare la pasta come una sottile pizza per poi appiccicarla con gesto deciso alla parete del forno cilindrico verticale, il tannur, al cui centro brucia il calore. Con un gancio estrae man mano questi dischi di ottimo pane bruciacchiato e li impila al lato, mentre lo avvolge il fumo che proviene dalla griglia per la carne. Io stesso mi allontano per non essere affumicato.

Finito il pranzo non ho tempo da perdere. Il pomeriggio è lungo ma non so come andrà a finire dato che i traporti sono problematici in questa parte dell'Hadhramawt e non vedo molte macchine passare. Mi dicono di aspettare un po' più in là, sotto il sole molto caldo. Da stamattina c'è una leggera foschia nell'aria, forse dovuta alla pioggia di ieri.

Non passa molto tempo, forse cinque minuti, che vedo un camion azzurro sul cui cassone sono stipati gli alunni di una scuola. Mi faccio avanti senza esitazioni e chiedo all'anziano autista se mi può prendere e lui mi invita immediatamente a salire in cabina. Non vuole soldi, ma dice che mi lascerà in un posto a un'ora e mezzo da Khraiba. Lungo il percorso depositiamo i vari scolari alle rispettive case, mentre dalla cabina rendiamo loro i fagotti di libri legati, quaderni o thermos di tè che si sono portati da scuola. Dopo aver scaricato l'ultimo alunno, l'autista usa la cortesia di portarmi al villaggio seguente che si trova oltre un'ardua salita. Qui mi lascia e torna indietro.

Mi incammino, ma subito si ferma un camioncino che mi sa salire sul cassone e mi fa avanzare ancora un pezzo. L'aria aperta che mi investe mi inebria e il bellissimo paesaggio crea in me un'euforia data anche dalla soddisfazione di costruire questo spostamento non banale pezzo per pezzo, mia personale creazione. Dalla strada si vedono le pareti del wadi, qui sensibilmente più stretto e la fertile terra nel fondo invasa da una elegantissima foresta di palme. I villaggi, quelli, si trovano all'inizio della falesia, tutti di una bellezza inaudita. Il giovane al volante mi fa segno che si fermerà all'ombra delle palme per masticare il qat con altri.

Un altro ragazzino con la sua moto mi porta ancora avanti un po' e con la somma di tutti questi spostamenti mi trovo, secondo quanto dice la gente, a un'ora di cammino da Khraiba che intraprendo con piacere senza più preoccuparmi di aspettare altri veicoli. Certo, lo zaino sulle spalle è pesante, ma il paesaggio ricompensa di tutte le fatiche. Mi godo alla velocità del mio passo la serie di paesini incredibili arroccati che sfoggiano forme arcaiche e i naturali colori della terra, inframmezzati da rare case intonacate e anche verniciate.

Mentre cammino ripenso alle tante persone che ho incontrato oggi e alle conversazioni che ho avuto con loro. Uno mi parlava dei sada, la casta di aristocrazia nobiliare a cui appartiene Adnan e la sua famiglia Alaidrus. La gente ne ha un'opinione piuttosto negativa per via dei privilegi che si arrogano. Inoltre nell'Hadhramawt c'è un legame tra questa classe e il sufismo, visto come una pratica religiosa non ortodossa e meno rigorosa.

Ogni discorso che si rispetti deve, secondo un buon copione, toccare il tema della religione. Riflettevo sul bizzarro connubio tra una religione musulmana formalistica che impone regole su ogni minima pratica della vita quotidiana (come il numero di genuflessioni che bisogna fare quando si prega) e la totale mancanza di rigore del popolo arabo, la possibilità di piegare le regole, negoziare e ottenere le cose che all'inizio sembravano escluse a priori se si parte da una mentalità occidentale. Un orario, un appuntamento, una parola data non hanno lo stesso preciso significato di impegno che in altre culture.

Eppure una persona affermava, nel tentare un grossolano e viziato raffronto tra Islam e Cristianesimo, che all'occidente non piacciono le regole. Sembra un paradosso, ma la cosa è pur vera nell'ambito religioso dove l'Europa ha raggiunto un livello talmente astratto e intellettuale nel suo rapporto con la Chiesa che non si tiene più in grande considerazione il rito e la pratica esteriore. Anzi la si relega al rango di mera esteriorità, vuota formalità e retaggio del passato.

Perdendo la regola, che ha il preciso significato di mantenere coerenza nella comunità dei praticanti e dare disciplina di vita, anche se fine alla sopravvivenza stessa della religione, si svuota di senso anche la difficile astrazione del credo e si perde il senso dell'appartenenza. Dopo tutto l'uomo non vive forse in uno spazio concreto, in un tempo finito e non è condizionato da fatti materiali di cui la regola è la conseguenza? Il Cristianesimo orientale, più conseratore, non ha ancora ripudiato le regole, anzi prospera di esse.

Mentre cammino, mi perdo anche a contemplare i villaggi in argilla che si fondono nel paesaggio e lo rendono accogliente perché abitato dall'uomo. Il cielo sta ormai oscurandosi, soffiano forti raffiche di vento che sollevano polveroni e portano da lontano gocce di pioggia. Affretto il passo per non trovarmi sotto una acquazzone come quello di ieri, ma ormai vedo il villaggio al termine del rettilineo.

Anche a questo albergo sono l'unico ospite. È una casa antica di estrema semplicità, con una scala di irregolari gradini che si inerpica in corte ripide rampe su per i tre piani dell'edificio. La mia stanza non ha arredamento, solo dei materassini di gomma piuma gettati contro il muro e quattro finestrelle chiuse dalle persiane. Subito le apro e osservo un po' la vita del villaggio, poi salgo sulla terrazza. Il paese è molto vivace, con tante bancarelle, ma anche molta immondizia in giro, piaga che affligge purtroppo tutto lo Yemen di oggi.

Le poche gocce di acqua non arrivano a diventare pioggia e quando smette del tutto, vado a spasso. Un assembramento di gente sulla sponda osserva incuriosita il torrente ora gonfio di acque fangose e impetuose per effetto di piogge lontane. Dev'essere un avvenimento inconsueto.

La sera mangio dei formaggini e del pane, perché non sembra esserci un ristorante, e comunque non ho voglia di cercarlo. Poi mi metto davanti all'albergo con un libro di lettura, ma mi sento al centro degli sguardi. Un ragazzo mi si avvicina e ammira il fatto che stia leggendo, che mi stia dedicando a un'attività intellettuale, ormai dimenticata dagli arabi. Pur giovane com'è, questo gli dà spunto per parlare con disillusione della decadenza attuale del popolo arabo, dell'assenza di competenze, della necessità di importare tutto e di dipendere dalla tecnologia altrui. Quanto è vero quello che dice! ma mi dispiace sentirlo abbattersi amareggiato sulla realtà della sua nazione. Gli dico che la speranza è nel futuro delle generazioni giovani come la sua.

Sopraggiunge il padrone cieco, di cui alcuni giovani si fanno le burle, ma io voglio dare un esempio e di proposito parlo con lui. Mi informa che il turismo è iniziato nel 1991, anno della riunificazione dei due Yemen, proprio con gruppi di italiani.Qualcuno mi avverte che il villaggio a monte di Khraiba è quello da cui discende la famiglia Bin Laden e infatti avevo già visto questo cognome scritto su insegne commerciali.

Un bambino mi chiede con chi sia venuto fino qui, e quando gli dico che sono da solo, lancia un'esclamazione di grande meraviglia. Capisco tutto d'un tratto che forse è davvero follia la mia, di essermi spinto in questa terra lontana e sperduta in modo completamente indipendente, ma sono contento e fiero di me...

Ma è ora di andare a letto: qualcuno sta chiudendo gli antoni dell'albergo e io spedito in camera dove trovo la zanzariera che avevo steso sopra la stuoia ricoperta da un impressionante strato di nere mosche vive.