Da Bir Ali ad Aden

Mi godo la spiaggia immacolata. Cerco di scalare la montagna nera per vedere il panorama dall'alto, ma oltre una certa altezza è impossibile progredire da questo lato. Ciò nonostante già da qui la vista è splendida e le acque chiare sotto invitano a scendere e approfittare di loro. Così faccio e mi beo nella tranquillità del posto, galleggiando pigramente nel tiepido mare.

A mezza mattina lascio l'accampamento e vorrei avviarmi a piedi verso il villaggio, ma mi trattengono dicendo che mi porteranno a Bir Ali in auto. Passa mezz'ora, e capisco che non si muove nessuno. Se ci sarà un'auto dovrò comunque pagarla come un taxi, quindi mi alzo dicendo che me ne sarei dovuto andare via da subito. Cercano di dissuadermi dalla finestra, ma proseguo pensando che se non si hanno le idee chiare nel mondo arabo, si perde la trebisonda. In tre quarti d'ora raggiungo il posto di polizia di ieri, dove mi dicono che effettivamente c'è un bus alle 13.30 per Aden, cosa che sorprendentemente nessuno sapeva al campeggio. Ho addirittura il tempo per mangiare.

Ordino riso e pollo che mangio seduto sulla stuoia circolare per terra, portando il cibo alla bocca con le mani. Mi sento un po' maleducato, ma qui è il modo normale. Non penso nemmeno di chiedere le posate, che probabilmente non hanno nemmeno. Inoltre ho imparato a soppesare i grani di riso per compattarli prima di metterli in bocca e quasi mi diverto. Arriva il bus, contratto la tariffa che l'autista si intascherà come guadagno extra e parto. Ci sono anche tre coreani a bordo che lavorano in un impianto di gas in costruzione sulla costa.

Rocce nere tormentate cospargono i pendii del rilievo fino alla costa, segno evidente dell'origine vulcanica. In un tratto, tracce di veicoli e ruspe che hanno rimosso questo rivestimento sembrano come ferite nel manto della terra inviolato e primordiale. Segue un'infinita distesa di sabbia cosparsa da montagnette con ciuffi di erba secca quasi per scherzo, e la prospettiva dal mezzo che corre fa sembrare queste cunette roteare tutt'intorno e rincorrersi in un pazzo girotondo sullo sfondo di una striscia di mare azzurro.

Lasciamo la costa e ci spingiamo lungo una strada stretta verso le montagne. Presto sarà inaugurata una nuova strada per Aden che segue la costa, ma per ora dobbiamo allungare ed entrare in vicinanza di Shabwa. Il paesaggio montuoso impervio è fatto di enormi torrioni di roccia, baluardi sostenuti da fianchi di detriti, scogliere verticali che si sgretolano. È in queste regioni aspre che si sono verificati dei rapimenti in passato, triste nomea di questo territorio tribale ribelle.

Entriamo nel governatorato di Abian e siamo scortati da una camionetta della polizia con uomini armati che ci precede. Nel pulman c'è un ufficiale di polizia nervoso che inveisce contro i coreani, la cui presenza a bordo del mezzo ha richiesto il suo intervento. Io non intendo: sembra che le scorte vengano organizzate solo per i coreani, e gli altri stranieri come me? Ma è come se non esistessi, sono in incognito. A tutti i posti di controllo, l'autista dichiara di avere a bordo come stranieri solo i tre asiatici. Poi capisco il perché: sento che qualcuno, parlando di me, dice che devo essere egiziano; un altro lo contraddice, dice che sono giordano finché io affermo la verità: sono italiano! Ma nonostante ciò, ai posti di controllo continuano a esistere solo i coreani...

La strada si inerpica a curve su per le cime, poi scende verso Aden. Poco prima di arrivare in città contatto Sarah, un'amica di Géraldine. Mi dice molto gentilmente che mi aspetta a casa sua e viene a prendermi davanti alla sede della polizia di Aden. Mi fa piacere trovare un'amicizia in questo paese, per interrompere un po' lo schema delle giornate in solitaria. Inoltre mi dice che ha studiato a Napoli e in effetti parla anche un buon italiano. Abita in una tranquilla villetta, enorme per una sola persona e mi dà una bella camera con aria condizionata, un vero lusso.