La traversata dell'Atlante

Alle 8 sono pronto sulla strada ad aspettare. Inganno l'attesa leggendo, poi i bambini mi rivolgono l'attenzione fino a quando si stancano e si mettono a giocare in mezzo alla strada. Un po' troppo vicino a me, perché i loro schiamazzi mi distraggono dal rumore dei veicoli che non devo assolutamente perdere l'occasione di fermare. Ma anche se a ogni rumore di motore scatto in piedi e stendo il braccio indicando la mia direzione, non riscuoto grande successo. Inoltre di mezzi, ne passano solo una decina scarsa.

Decido di aspettare fino alle 10.30, poi tenterò di tornare indietro, cosa che pure mi sembra poco agevole data la scarsità del movimento. Improvvisamente sento un ronzio lontano e scorgo la sagoma di un pulmino che si avvicina. Sul davanti porta in lettere arabe Tineghrir-Imilchil e mi riempio di gioia. Non pensavo proprio di farcela.

Jawad, l'inserviente dell'albergo dai capelli biondo cenere come uno dei bambini che stanno giocando per strada, si affaccia al cancello per salutarmi mentre il mezzo si è già avviato. Dentro ci trovo le facce arcigne di questi berberi di montagna con le teste avvolte in rudimentali e sporchi turbanti. Anche l'autista, piuttosto che niente, si è messo una bella salvietta di spugna appoggiata sul capo.

Image Il pulmino sale passando da Ait Hani e toccando un altro bel villaggio alla base di un grande pendio di roccia nuda che sembra una colata solidificata. Da Ait Hani la strada asfaltata finisce e inizia la pista. Dopo il secondo villaggio inizia una lunga salita verso l'alto passo di montagna attraverso brulli e desolati paesaggi. Verso la cima incontriamo l'altro mezzo in discesa e ci fermiamo per una breve sosta, in mezzo alla desolazione popolata solo dalla presenza di questi due pulmini e di noi passeggeri.

In prossimità del passo, tanti piccoli ciuffi di un'erba grigiastra coperta di polvere e non ancora risvegliatasi al richiamo della primavera, sembrano pietre tondeggianti. Anche quelle che sono verdi hanno l'aspetto di sassi ricoperti da licheni.

Poi, scendendo dall'altro lato del valico, incontriamo lo splendido villaggio di Agoudal, costruito come tanti altri in fango, ma qui la terra è di colore grigiastro piuttosto che rossiccio. Così, in questa luce di oggi filtrata dalle nuvole, le case splendono nel sole tenue e i contorni dei loro spigoli sono altrettante sottolineature delle forme di grigio tortora brillante.

È una lunga traversata, ma dopo diversi altri villaggi spazzati dal vento che soffia e solleva grandi polveroni, soprattutto al passaggio di qualche mezzo, finalmente arriviamo a Imilchil. Sono state tre ore e mezzo di strada. Solo poco prima del villaggio è ripreso l'asfalto.

Imilchil è piuttosto bruttina, sciupata da parecchie costruzioni in cemento piuttosto che in fango tradizionale. Vi si svolge un importante mercato, nell'ampia piazza che intravedo, forse la ragione di un alto numero di alberghetti senza alcuna pretesa, ristoranti popolari e caffé lungo la strada. Scopro però che sono tutti sorti come funghi, stimolati da prestiti pubblici concessi ai disoccupati del paese che volessero lanciare un progetto di impresa. Ma non sembra esserci stato molto criterio nella pianificazione dell'intervento e ora sono tutti in concorrenza tra di loro.

Imilchil, oltre che per il freddo dovuto all'altitudine di tutto rispetto di 2200 m, è famoso per la festa dei fidanzamenti che si svolge a fine agosto, quando vengono celebrati solennemente i matrimoni già conclusi nell'anno precedente, e vengono fatti incontrare le ragazze in età da marito con i pretendenti e nello stesso periodo c'è anche un festival di musica.

Image Dopo aver mangiato e lasciato passare un acquazzone che rinfresca di colpo la temperatura e mi obbliga a coprirmi, mi dirigo a piedi verso il lago ai margini del paese. Lungo la strada vedo tre ragazze berbere venirmi incontro camminando sulla loro strada, avvolte di tanti colori e monili.

Mi preparo a salutarle, chiedendomi se risponderanno timidamente al mio saluto, ma ancor prima che io apra bocca, sono loro che prendono l'iniziativa e mi stringono anche la mano. Una sembra alla ricerca disperata di marito perché ha già 26 anni. Mi fermo a motteggiare un poco con loro e quando ci lasciamo sono convinto che ho incontrato dei veri personaggi!

Proseguendo verso il lago, vedo alle mie spalle un altro temporale scuro in arrivo e non ho di che ripararmi. Ho però visto l'insegna di un rifugio, perciò mi spingo in quella direzione. Due persone vi stanno facendo ritorno e li saluto. Sono francesi di Bordeaux, arrivati qui con i due figli su un fuoristrada guidato da un autista. Ci incamminiamo verso il coperto e aspetto finché la pioggia non smette. Poi esco nuovamente, ma prima di fare ritorno al paese, vago per queste alture, ora spazzate da un vento freddo, dove le greggi dei nomadi cercano pazientemente da brucare.