Dopo lo stetto Siq... si apre Petra

6 aprile - Mi alzo alle 8.30 e faccio colazione con dei francesi. Poi il padrone dell'albergo mi porta alla zona archeologica in auto mentre gli racconto l'equivoco sul prezzo accaduto tra il tassista e i canadesi ieri, cosa che lo diverte molto. Arrivo all'ingresso del Siq e lo percorro ammirando la bellezza e la singolarità di questa natura, poi improvvisamente si staglia davanti a me il Khazneh, il gioiello intagliato nella montagna. Pian piano faccio passare le varie tombe, gli edifici, i panorami.

A un certo punto inizio una salita credendo di arrivare a una delle tombe, ma in realtà si tratta di una lunghissima ascesa, faticosa, che mi fa arrivare a una cima che domina tutta l'ampia vallata in modo spettacolare. Mi dico che da qui contemplerò il paesaggio riposandomi e leggendo sulla storia del luogo, mangiando qualche dattero e dissetandomi con l'acqua che mi sono portato, ma… non passano 5 minuti che a mio grande stupore sopraggiunge un pastore beduino che si trova in questo luogo isolato a fare pascolare le capre. Gli offro un dattero e lui inizia a spiegarmi la posizione dei vari monumenti che da qui si scorgono tutti, poi mi illustra la sua vita beduina, i prodotti che traggono dal latte delle capre, inframmezzando il discorso con osservazioni sul destino divino che governa la vita dell'uomo.

Scendo da questa altura e ritorno al centro della zona archeologica per iniziare una nuova salita allo splendido monastero, che è lunga ma non ripida come la precedente. Dal punto  panoramico in cui mi sono appollaiato per riposarmi si contempla un panorama spettacolare di rocce tormentate e dai colori accesi. Peccato per il forte movimento di turisti (molti sono italiani).

Scendo un'altra volta e prendo la direzione della montagna dell'altare, assicurandomi di avere tempo sufficiente per salire e ridiscendere prima della chiusura. Sono bellissimi iI disegni di colori e forme, ricami tracciati dagli elementi sulle pareti rocciose. Sulla cima trovo una donna beduina, Um Fatima, con cui mi intrattengo, ascoltando la storia della sua vita che si svolge in una tenda senza acqua corrente, né elettricità. Ha tre figli, ma vuole ancora un maschio.

Scendo, ma tre ragazzi che vendono souvenir mi fermano per offrirmi una tazza di tè che accetto. Due di loro, mi informano, sono sorelle, figlie dello stesso padre sposato con due mogli, ciascuna delle quali con 6 o 7 figli.

Finalmente riesco a ripercorrere il Siq in un'atmosfera totalmente diversa da quella di stamattina, perché adesso non c'è quasi nessuno. All'uscita compro un pacchetto di sigarette per Saif, poi i francobolli per alcune cartoline mentre l'impiegato della posta mi dà una conferenza sui prezzi in Giordania, sulla qualità delle merci che si comprano sui mercati, di importazione o di produzione locale, sulla sua fidanzata di Tel Aviv (sic!) che gli è fedele, al contrario di una precedente palestinese che lo tradiva.

Sono quasi le 19 quando esco dall'ufficio postale e prendo un taxi per l'albergo perché la stanchezza che ho accumulato camminando tutta la giornata su e giù dalle montagne si avverte nelle gambe.

All'albergo trovo una copia di sgradevoli tedeschi che dicono di avermi visto in taxi e che un mezzo usato da una persona sola ha un impatto negativo sull'ambiente. Sarà detto per scherzo, ma rispondo scocciato che dopo aver camminato tutto il giorno sentivo di meritarmi un po' di riposo e assolutamente non mi interessava risparmiare la misera somma di 1,5JD chiamando il proprietario dell'albergo per farmi venire a prendere, come aveva promesso di fare, proprio per riguardo nei suoi confronti. Che gente!

Sento tutta la stanchezza della giornata, delle lunghe marce sotto il sole, spossatezza esasperata dallo scarsissimo pasto di mezzogiorno (qualche dattero), dalla poca acqua che ho bevuto. Mi sento tremare. Ordino una ma'lube al ristorante di ieri dove due mocciosi francesi, due pesti, non smettono di schiamazzare, strillare, sgambettare per il locale. I genitori, mi dico, sono gran maleducati.

All'albero mi siedo con Saif e Muslih, il figlio del proprietario. L'accento arabo del posto mi ricorda molto la cadenza un po' calcata che si sente in Galizia. Improvvisamente, quando sto per dire che vado a letto dopo questa giornata faticosa, Saif mi invita ad accompagnarlo per un caffè da un suo amico egiziano che ha un bar e lì ci fumiamo un narghilè. Torniamo oltre la mezzanotte. Muslih è ancora in piedi ad aspettare Saif a cui rivolge un rimprovero per essersi attardato, ma poi si siede con noi bonariamente per bere qualcosa prima di ritirarci.

Dice che gli "ebrei" hanno un caratteristico odore cattivo, forse dovuto alle montagne di cipolla e aglio che mangiano. Mi fa ridere questo commento!