Le campagne di Battambang

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27 novembre - Mi sono appena fatto una doccia molto necessaria dopo aver passato una giornata sul retro di una moto che mi ha scorrazzato per le campagne di Battambang. Questa è la mia prima giornata in Cambogia dopo l’arrivo di ieri direttamente da Bangkok da dove mi sono subito mosso alla volta del posto di confine di Poipet. Entrare in questo paese è stato come fare un brusco salto indietro dall’ordine, dalla pulizia e dall’efficienza tailandese che ho potuto constatare nelle poche ore che ho passato là. Mi è bastato vedere la pulita stazione degli autobus, la condizione del mezzo su cui ho viaggiato fino al confine per averne un’impressione tutta positiva. 

Le campagne di Battambang

Al posto di frontiera, invece, sono arrivato in stato di allerta sulle insidie che attendono lo straniero a questo ingresso in Cambogia. Scampate molte, una l'ho però dovuta subire, quando ho scoperto che agli stranieri la polizia corrotta e interessata non lascia servirsi dei trasporti locali, ma li obbliga a viaggiare sul taxi collettivo. Mi ha scocciato non tanto pagare obbligatoriamente la tariffa più alta del mezzo impostomi, quanto la mancanza di libertà e la discriminazione senza appello rispetto alla gente del posto per effetto di una presunzione di ricchezza.

Nei dintorni di Battambang che ho visto oggi, come già immaginavo, non ho trovato una strada asfaltata, anzi, nemmeno una ben livellata, piene come erano di profonde buche. Addirittura la nazionale 10 che collega due importanti centri come Battambang e Pailin non era altro che un'ampia pista di terra battuta. Il traffico non si poteva definire intenso, ma ogni tanto qualche mezzo più pesante passava e impolverava tutto e tutti di uno strato di finissima terra rossiccia.

La cosa più interessante della giornata non sono stati i monumenti che ho raggiunto, ma lo sguardo che ho potuto scorrere sulle campagne e per i villaggi di questa regione. Ho passato in rassegna tante case, alcune miserrime, a malapena coperte di qualche fronda di palma, capanne che non so come resistano alla stagione piovosa del monsone. Altre, invece, erano graziose casette su palafitte per lo più lungo la strada e immerse nella vegetazione.

Ho notato tanti bambini. Alcuni in particolare mi sono rimasti impressi per la situazione tragicomica in cui li ho trovati: immersi nel fango in una pozza, entravano e uscivano con la testa dall'acqua torbidissima, quasi spessa e spingevano manate di fango per costruire una diga!

Tanti sorrisi mi hanno accolto al passaggio, qualche improperio mi è stato scagliato addosso dalla padrona del “treno di bambù”, quando non ho accettato di pagare la bellezza di 6 $ per rientrare in città su uno squallido carrello ferroviario che scorre su binari sospinto da un motore di moto collegato alle ruote tramite una cinghia (osano chiamarlo treno!). Ho preferito approfittare della moto che, quella, era già pagata, anche per completare l'opera di incipriarmi della polvere stradale.

Di ritorno a Battambang ho scovato le tante case coloniali, niente di monumentale, ma carine e ordinate, disposte lungo un fiume placido non troppo ampio. Le ho ammirate passeggiando, dopo aver bevuto l'abbondante succo di una noce di cocco. Mi sono così ristorato della disidratazione sofferta in questo caldo umido che provoca una continua sudorazione. È così che inizia l'avventura cambogiana, il primo giorno delle tre settimane che dedicherò all'esplorazione di questo paese.

La vita sulle acque

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28 novembre - Ho alle spalle 7 ore di navigazione che mi hanno portato da Battambang a Siem Reap. La strada non sarebbe stata più veloce nonostante la distanza non sia eccessiva, 170 km. Per barca però l'esperienza è stata nuova e particolarmente in questa zona dove si possono vedere non solo paesaggi singolari, ma modi di vivere della gente che abita i cosiddetti villaggi galleggianti.

Il viaggio non è stato dei più confortevoli. Sono stato per 7 ore seduto, in piedi, sdraiato, accovacciato; non sapevo più che posizione assumere per lenire l'indolenzimento che mi provocava dolori nella muscolatura per la posizione costretta. Del resto stare sul tetto della cabina era bello, ma anche una scelta obbligata perché sotto coperta orami i posti erano tutti occupati e il gruppo degli ultimi 15 passeggeri circa, tutti stranieri, è stato fatto accomodare sul tetto.

Normalmente il tetto non sarebbe una zona destinata a ospitare persone, ma su queste barche ci mettono più gente che possono per soddisfare l'avidità di guadagno, soprattutto quando si parla di stranieri che pagano tariffe speciali. È stato un viaggio sempre sotto il sole, e qui non scherza, ma ero attrezzato con maniche lunghe e cappellino, oltre agli occhiali scuri.

Lo zaino grande era nella prora della barca e quasi subito sono dovuto andare a recuperarlo per estrarre la macchina fotografica che avevo dimenticato lì. Dopo averlo individuato nella grossolana catasta di bagagli, ho dovuto insistere con il barcaiolo che non voleva lasciarmela sconquassare togliendo un elemento della base. Ma ce l'ho fatta e non è crollato niente. Quasi però ce la facevo a perdere un piede perché ho realizzato in ritardo che mentre mi calavo dal tetto avevo a pochi centimetri di distanza un volano in movimento vorticoso del vecchio rumoroso motore. Ma è stato più lo spavento dell'autosuggestione che il rischio.

L'ambiente fluviale è stato interessante da osservare e anche quello lacustre, quando ormai si erano perse le due sponde e ci eravamo addentrati in una miriade di canali intricati più o meno ampi delimitati dalla vegetazione galleggiante in alcuni posti o altrove radicata al fondo, qua e là rari alberi che si innalzavano dall’acqua. Una vera e propria sponda del lago non l'ho potuta individuare e solo l'ultimo tratto è stato per acque aperte prima di raggiungere la terra ferma all'imbarcadero che si trova a 11 km dalla città di Siem Reap.

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Tante persone vivono sulle sponde del fiume e addirittura tra questi canali dentro il lago. Sperduti come sono e irraggiungibili dai trasporti terrestri, come faranno a vivere la nascita, la morte, la malattia? Come affronteranno l’oscurità della notte, il mal tempo, il monsone? Alcuni possiedono una miserrima per quanto dignitosa barchetta rabberciata su cui passeranno la loro giornata, la loro vita di famiglia. Le membra saranno anchilosate, anche se ho notato che devono usare molto le braccia per azionare le grandi reti sostenute e tese da ampie strutture di bambù che, immerse in acqua, vengono ripescate con qualche pesciolino intrappolato. Ma io che dopo 7 ore di barca mi sentivo a pezzi e non vedevo l'ora di scendere, non posso immaginare come vivano un'intera vita in questo ambiente.

Alcuni villaggi sono solo gruppi di barche nel mezzo di questo paesaggio, altri sembrano più strutturati, hanno qualche casa su palafitte, addirittura una scuola. Ho visto barche negozio che distribuiscono generi alimentari, carbone, un po' di tutto per nutrirsi e vivere. Parecchie barche erano dotate di una rudimentale antenna da televisione e ho visto un venditore di batterie d'auto, unica fonte di energia elettrica per far funzionare, appunto, il televisore. In alcune barche il bucato lavato nelle torbide acque era steso ad asciugare, in altre veniva seccato pesce al sole.

Il passaggio dalla nostra barca relativamente veloce formava onde che facevano oscillare queste fragili imbarcazioni, portava scompiglio con l'onda che si frangeva sulle sponde, moveva disordinatamente o rischiava di ingarbugliare le reti messe dai pescatori e marcate da tante bottiglie di plastica che le sostenevano alla superficie dell'acqua. Tanti pesci di piccolissima taglia ho visto guizzare in un ridicolo salto fuori dall'acqua al passaggio dell'onda. Sicuramente questo salto di panico rischiava di farli atterrare sulla sponda fangosa e farli morire soffocati in assenza di acqua. Meglio forse attendere il proprio destino senza troppo zelo di volerlo cambiare...