L'industria della pesca

Verso sera mi muovo all'altra periferia di Joal per vedere uno spettacolo unico: la zona di affumicatura e di conservazione del pesce. È un'enorme distesa disseminata di forni che vengono caricati di una selva di pesci di cui rimangono visibili solo le code. Mentre il fuoco di paglia affumica il pesce sui graticci coperti e riempie l'aria di fumo, gruppi di donne acquattate tra un forno e l'altro spelano i pesci uno a uno, staccando la testa che andrà ad arricchire il mangime per polli, mentre le pelli sono destinate all'allevamento dei bovini. I corpi vengono invece salati o seccati e inviati al consumo.

Un uomo mi prende in carico e si incarica accompagnarmi in giro. Parla solo wolof, ma non si fa problemi nel darmi una quantità di spiegazioni che naturalmente non capisco, anche se ogni tanto qualche persona che incontriamo integra in francese.

Tantissime persone lavorano qui, anche migranti che provengono da paesi confinanti. Spesso sono i mercanti del Burkina-Faso che comprano ed esportano, lucrando sul grande valore che acquista il prodotto entrando in quel paese senza sbocco sul mare. Vedo scene bellissime di donne, a volte accompagnate dai loro piccoli legati sulla schiena, in gruppi colorati tra mucchi nerastri di teste e squame di pesce con accanto ceste che si riempiono tra strati di sale e di filetti. Qualche bimbo vestito di stracci pilucca dagli scarti per racimolare qualcosa da mangiare.

Come ieri sera tra i ragazzi pescatori, ancora una volta trovo una testimonianza seria di amicizia. Mentre mi aspettavo da un momento all'altro che il mio accompagnatore si facesse avanti con una richiesta di denaro per il suo servizio, giunti al suo banco di lavoro mi ha voluto presentare il suo operaio che parla un po' di italiano. Poi mi ha stretto la mano in un saluto, declinando il nome come usano fare per dichiararsi disponibili a servire in futuro, cosa che ho fatto anch'io ricambiando il gesto. Non solo mi ha sorpreso, ma mi ha fatto enormemente piacere essere trattato non da turista, ma da ospite che si sente benvenuto in una terra straniera.

Al quai de pêche mi viene incontro la cognata di Dielani e mi saluta. Dice che mi aspettavano oggi, così le prometto che passerò più tardi a salutarli. Infatti di sera torno alla casetta e passo la serata insieme a loro, mangiando la semola di miglio thierré con lo zucchero. Ma mi sento febbricitante e preferisco passare in ospedale per prendere delle medicine. Mi visita una giovane medico costretta a tenere la pila tra il capo e la spalla per illuminare l'oscurità senza luce elettrica. Anche questa seconda notte è senza acqua né elettricità.

11 febbraio. È un'altra stupenda giornata, fresca e ventosa al mattino. Decido di passeggiare ancora sulla spiaggia prima di rimettermi in strada per un altro posto sulla costa e la passeggiata non è per niente banale, per quanto sulla stessa spiaggia che ieri ho visto e non mi ha entusiasmato. Nel bel sole mattutino, incontro un marabout, personaggio, questo, a metà strada tra la guida spirituale e lo stregone perché sta raccogliendo dell'acqua da dare ai pescatori, una sorta di pozione da bere che avrebbe il potere di garantire la salvezza dai pericoli del mare. E la conchiglia che tengo in mano, mi assicura, mi proteggerà dalle male lingue. La componente mistica sufistica che smussa le rigidità dell'Islam più intransigente ha integrato elementi magici nella religione e tra le altre cose permette una convivenza pacifica con altre religioni.

Diversi fili di corda corrono tesi lungo la spiaggia. Infatti più in là, diverse persone armeggiano con un aggeggio fatto da una ruota di bicicletta con manovella che serve per torcere decine di metri di corda fatta di fili più sottili. Sono tanti i cordonniers che lavorano al servizio della pesca ed è bello osservare queste attività. Mi incuriosisco e mi siedo all'ombra accanto a un uomo che sta sfilacciando una cima per ricavarne stringhe. Quando sa che sono italiano, recupera nella memoria dei ricordi e mi racconta di essere stato in Italia. Faceva il vucumprà, come si definisce senza cogliere la sfumatura canzonatoria di questa parola storpiata.

Una piroga dura quattro, cinque anni dopo di che deve essere risistemata. Per costruirne una nuova, ci sono artigiani specializzati che in alcuni giorni segano, piallano e inchiodano le assi di legno nella bella forma affusolata dell'imbarcazione. Poi viene dipinta di vernici colorate e le viene dato un nome che non può essere quello del proprietario, perché è di cattivo augurio, ma di una persona a lui cara. Impressionanti sono i numeri di piroghe allineate sulla spiaggia, sono centinaia e dimostrano la scala gigantesca che ha raggiunto lo sfruttamento dei mari, come già avevo potuto constatare nello stabilimento di affumicatura. Se alcune piroghe scendono con apposite licenze in Guinea alla ricerca di acque migliori, i pescherecci coreani non sono gli unici responsabili dell'impoverimento delle risorse ittiche.

È appena arrivata una grande piroga dopo giorni di lavoro al largo. Tanta gente si accalca per svolgere le operazioni, tra cui lo scarico delle lunghissime reti inzuppate d'acqua. Così lunghe e pesanti che devono essere caricate su una sfilza di carretti in successione tirati da cavalli. Ma il carico è troppo grande per il ronzino che lo tira e il povero animale nello sforzo di mettersi in movimento stramazza nella sabbia e rischia di essere schiacciato dallo stesso carretto. Gli uomini devono rimboccarsi le maniche e aiutare a spingere.

Prima di partire da Joal, chiedo un piatto di thieboudienne alla vecchietta da cui ho comprato un sacchetto di thierré. Mentre l'anziana donna sta cucinando sul fuoco di legna e ogni tanto scaccia le galline che vengono a razzolarle tra i piedi, vedo la gente uscire dalla moschea dopo la preghiera del venerdì, tutta agghindata e variopinta che è uno spettacolo. È una sfilata del giorno festivo che contrasta con la situazione di ieri, quando questa stessa strada era affollatissima di gente mesta, in attesa di dare l'ultimo addio a una donna che era morta nel quartiere. Era impressionante vedere la folta partecipazione silenziosa che è durata ore di attesa, grande espressione di vicinanza alla famiglia del defunto.