Il santuario dell'Imam Reza

ImageAlle 18.30 si parte con il pullman notturno per Mashhad. Non è affollato e posso stendermi su quattro sedili riproducendo lo spazio ideale di un letto vero. Arriviamo alle 10 del mattino dopo un viaggio di oltre 1000 km che mi è costato solo € 8.

Troviamo alloggio da Vali, mercante di tappeti piuttosto dozzinali, in realtà più dedito al mestiere di albergatore. La sua casa ha un seminterrato nel quale sono sparsi diversi letti e si può dormire anche nel cortiletto. Regna una gran confusione e non ne ho una buona impressione iniziale. Una coppia austriaca sta facendo la colazione di sopra. Viaggiano in bicicletta e intendono arrivare fino in Cina.

Per visitare il celeberrimo Haram-e Reza bisogna prendere alcuni accorgimenti. Questo è il mausoleo dell'ottavo Iman degli sciiti, l'unico che sia sepolto in territorio iraniano e pertanto il luogo attira masse incredibili di pellegrini in ogni momento dell'anno, ma soprattutto nei momenti forti come il ramazan. Ali al-Ridha (o pronunciato alla persiana Ali Reza) fu avvelenato nell'818 dal califfo abbaside in una lotta di successione al potere e si aggiunge alla lista dei martiri per la fede venerati dallo sciismo. Il santuario è enorme, in continua espansione grazie agli investimenti della Repubblica islamica, come ho anche visto proprio alle porte di Tehran dove si costruisce l'enorme mausoleo di Khomeini. Si tratta in pratica di una costruzione fatta di cortili concatenati che danno accesso a moschee e sale di preghiera variamente decorate, sovrastate da svettanti cupole e minareti.

Ai non musulmani non è permesso l'ingresso agli spazi più interni e in particolare a quello che racchiude lo zarih, come a Qom. Non ci tengo particolarmente a contravvenire al divieto, ma mi vesto nel modo meno occidentale possibile, con pantaloni larghi e camicia, entrambi di un marrone impensabile. Con il capo avvolto in una kufiah araba a quadretti marroni e neri, mi sento effettivamente un po' strano. Ci rido sopra con Fabio e scommettiamo su chi di noi riuscirà a passare per autentico pellegrino.

Alla fermata dell'autobus, abbiamo la risposta. Un giovane mi rivolge la parola in persiano per chiedermi un'informazione e mi giro immediatamente verso Fabio con un ghigno di vittoria. Passato questo approccio buffo, il giovane si dichiara onorato di avere a che fare con degli stranieri e ci dice con il suo scarso inglese che studia a Zabedan restauro e conservazione dei monumenti storici. Questo sembra essere il sua unica ragione di essere, la sua ardente passione e il suo sogno è naturalmente venire a studiare in Italia. Ci accompagna con molta gentilezza fino all'ingresso principale del santuario e lì ci lasciamo.

Visitiamo separati per non dare nell'occhio. I guardiani armati di spiumaccini fluorescenti vigilano i punti di varco. Mi sento a disagio passeggiando lentamente senza direzione per questi spazi, conciato come sono. A uno degli ingressi più interni, già vedo lo zarih poco oltre, un guardiano agita verso di me quella temibile arma che è il suo piumino verde e mi sento accusato di spionaggio. Magari non intendeva respingermi, forse non intendeva nemmeno dirigersi a me, ma non ho voglia di mancare di rispetto. Dopo tutto, non infastidisce anche noi un comportamento in violazione delle regole da parte degli stranieri? Inoltre, ho già visto a Qom il santuario di cui questo non è che la copia grandiosa e ho già provato le emozioni dei pellegrini, anche sfiorando la gabbia d'oro. Tra l'altro anche là mi sarebbe stata vietato l'ingresso, sennonché i miei compagni afgani mi avevano incoraggiato a entrare con loro.

Vali è tornato da un'escursione fuori città con alcuni ospiti svizzeri e stanno prendendo il tè. Mi siedo con loro. Vali è brillante e accogliente nel suo ruolo di albergatore casalingo; conversa in inglese sciolto. Non si può dire altrettanto dello svizzero, che emana spocchia a tutto spiano e assume un atteggiamento palpabile di superiorità. A cena si aggiunge un olandese vestito di un salwar qamiz pachistano. Parla con una esse sibilante ma non comunica niente dal suo volto impassibile e pallido.

ImageDiscutono di struttura familiare. In Italia la famiglia è più simile a quella iraniana che non a quella dominata da rapporti di freddo distacco nei paesi del nord. Ma l'assurdo è che questi indisponenti nordici mostrano un atteggiamento condiscendente verso la realtà del sud europeo, ma non per il paese che stanno visitando, perché quello, secondo il codice di correttezza politica, va rispettato, quanto meno nelle apparenze.

Io sono sicuamente prevenuto verso questi personaggi, ma anche Fabio percepisce un clima sgradevole. C'è un uomo del Bahrain in pellegrinaggio con cui preferisco intrattenermi, piuttosto che con gli altri turisti. E poi il nostro amico restauratore ci ha scovato fino a questa casa per ribadirci che il suo interesse è la conservazione dei monumenti, se per caso ce ne fossimo già dimenticati. La cena è squisita. La moglie di Vali ha preparato un ottimo piatto di carne con due salse di noci, una acidula e l'altra dolce, oltre a una varietà di altre pietanze.

20 agosto. Anche a colazione si ripete il clima di ieri. La conversazione è addirittura in tedesco, ma colgo accenni sul mio paese che mi irritano e lo faccio notare con uno sbuffo spazientito. Sono così indelicati che probabilmente non si accorgono della loro maleducazione, ma io non voglio perdere la mia.

Ho voglia di uscire dalla città per scaricare la tensione. Prendo due pullman e arrivo a Keng, antico villaggio a terrazze a una ventina di chilometri da Mashhad. Forma una macchia di colore grigiastro sul fianco scosceso della montagna e le sue case sono raggruppate lungo stretti vicoli in salita o trasversali in piano. Lo esploro e osservo la vita che scorre in questo luogo così distante dalla realtà cittadina.

Un gruppetto di bambini si dirige al negozio per comprare del caramello poi se lo rubano tra di loro. Arriva il venditore delle bombole di gas e un piccolo di forse quattro anni, mandato dalla mamma, scende di corsa per le scale a fermare l'uomo chiamando Agha, Agha! Chiede il prezzo, poi risale, sempre trotterellando in modo simpaticissimo, immedesimato del ruolo di responsabilità che gli è stato affidato. Rieccolo scendere di nuovo, ancora di corsa, stavolta con i soldi alla mano. L'uomo gli scarica una bombola che naturalmente il bambino non può muovere neanche di un dito. Un'altra persona del villaggio la prende per un manico e inizia a trasportarla lungo la rampa di gradini che salgono alla casa.

La sera gusto un'altra ottima cena da Vali, stavolta con dugh casereccio (una bevanda rinfrescante di yogurt e acqua leggermente salata), poi parto per la stazione degli autobus dove mi imbarco alla volta di Tehran. Sono altri 1000 km in un'altra nottata, ma stavolta sarà molto meno comoda. Il mezzo è pieno e accanto a me un anziano azero, che ogni tanto insiste nel parlarmi in farsi, è vestito con un completo di lana e porta il tipico cappello di agnello. Sborda tutto nella mia metà del sedile e la sua vicinanza mi riscalda fastidiosamente un fianco.