Avanti un pezzo: Rangdum

Ladakh200

Alle 5.20 sono già in attesa al posto di polizia. Fa freddo e il cielo appena chiaro è percorso da strisce di ovatta strette e lunghe. Passa un'auto diretta a Padum, con solo due persone a bordo. Si ferma, i poliziotti stanno ancora dormendo. L'autista entra nel casolare e fa registrare il suo unico passeggero. Si tratta di una francese dai capelli lunghi e grigi raccolti in due lunghe trecce indiane. Le dico che sono diretto anch'io a Padum e sto aspettando un autobus che forse non arriverà. Lei non fa un cenno di offrirmi aiuto, io non mi abbasso a chiederglielo e l'auto, concluse le formalità, parte via.

È questa la prima auto, quella del mio orgoglio insensato di non volere mai dipendere dagli altri, di non volermi sentire ferito da un rifiuto quando mi sono abbassato a chiedere aiuto, come se potessi sempre essere il più forte che dà, e non il più debole che deve ricevere.

Dopo un certo tempo passa una seconda auto, piuttosto piena per la verità, anch'essa diretta a Padum. L'autista scende e quando gli chiedo un passaggio, mi avanza con fare arrogante una richiesta di 1000 Rps. Mi sembra eccessivo, ma lui non è disposto a trattare. Ne parlo con il poliziotto, che nel frattempo si è svegliato e gli dico di convincerlo a scendere un po'. Allora mi propone 700 e io rilancio a 500, che so essere il giusto prezzo. Penso che avrei accettato anche a 700, se l'autista non avesse avviato di scatto il suo mezzo e fosse partito come un insolente.

Anche qui rifletto. Questa è la seconda auto, quella dei miei principi e della mia pretesa di essere trattato con dignità ed equità, da pari a pari, non come un estraneo di cui approfittarsi. È l'auto della mia resistenza a scendere a compromessi.

Passa poi un camion che arriverà solo a Rangdum e mi chiede 400 Rps per il passaggio, ma rifiuto. Terza auto.

I poliziotti mi invitano a entrare al coperto. Mi offrono una coperta per scaldarmi dal freddo che mi è entrato nelle ossa mentre stavo fermo ad aspettare per tanto tempo. Mi offrono anche del tè caldo, poi una bevanda dal colore di cioccolata. Quando la porto alle labbra e assaggio, mi ritraggo a un gusto inaspettato e mi dico che per errore devono aver confuso il sale con lo zucchero. Invece di protestare, aspetto la reazione degli altri che dopo qualche minuto bevono il loro primo sorso ma non fanno una piega. Capisco che si tratta del famoso tè salato al burro, che bevo quindi con rassegnazione sentendo la mia bocca contorcersi a ogni sorso. E non ho il tempo di terminare la tazza che me la trovo rabboccata con una nuova porzione che mi sento obbligato a sorbire.

Mentre dispero ormai di poter avanzare da questo posto, faccio qualche passo in direzione opposta al paese, verso i campi. Si è fatta una giornata meravigliosa, un sole sfolgorante illumina i campi facendone risplendere i colori, mentre ora dietro le prime montagne si ergono gloriose le due cime gemelle coperte di una neve dai riflessi bluastri che accompagnano l'azzurro intenso del cielo.

Arriva una jeep, che trasporta della gente del posto ma si fermerà solo fino a Rangdum. L'autista mi chiede il giusto prezzo di 150 Rps e accetto con soddisfazione. Sono passate ben 4 ore di attesa dall'alba di questa mattina, ma sono finalmente imbarcato, anche se la destinazione è solo a metà del cammino che speravo di coprire ieri.Image

I miei compagni di viaggio sono tutti abitanti dello Zanskar e faranno tappa a Rangdum per riprendere la marcia domani con il mezzo che troveranno. Alla radio suonano orecchiabili melodie ladache che sottolineano tutta la mia gioia di aver trovato quello che cercavo: non tanto un mezzo per spostarmi come il turista che compra tutti i servizi che il suo denaro gli rende disponibili, ma un'esperienza autentica da vivere vicino alla gente locale; non un mezzo noleggiato da un turista, una torre d'avorio con quattro ruote che si sposta al di sopra di tutto, solo alla ricerca del soggetto per l'ennesima foto, ma un momento di conoscenza e amicizia.

I miei compagni sono 4, due giovani e una coppia più matura. Uno è studente a Delhi e mi immagino che il suo viaggio per tornare a casa duri facilmente una settimana intera. Sono persone davvero cordiali e mi offrono cibo da sgranocchiare, banane, albicocche fresche e secche, pezzetti di torta.

Questa è la quarta auto, quella della salvezza e della realizzazione. In nome della sobrietà e della autenticità, come mi piace sia la mia vita, ho buttato le precedenti occasioni, anche se sarebbero state la soluzione più comoda e più coerente con i miei obiettivi iniziali. Ma è inutile pensare a quello che non è stato: devo lasciarmi trasportare con abbandono da questa ruota del destino perché ogni cosa che succederà da qui in poi sarà ormai legata a tutto quanto l'ha preceduto.

I paesaggi che ora attraversiamo percorrendo la valle Suru sono incredibili e rimango più volte toccato dallo scenario davanti a me. Campi verdi, acquitrini, un solco profondissimo in cui scorre il torrente, poi l'enorme ghiacciaio che si spinge con tutta la sua massa fino alla sponda dirimpetto alla strada. Sembra un enorme pachiderma, per il colore grigio scuro del pietrisco che lo ricopre, e risulta aperto in diverse spaccature. Troviamo poi altri due rami dello stesso ghiacciaio che scendono per versanti diversi della montagna, prima di giungere allo spettacolare ghiacciaio del Nun alla base della vetta che si staglia aguzza nel cielo, mentre la valle sotto è aperta in un fondo piatto occupato da acquitrini. Ci fermiamo qualche momento ad ammirare questa vista, mentre l'addetto del posto di polizia registra i dati dal mio passaporto.

Arriviamo ad un'ampia piana con poche case sparse in stile tibetano: è Rangdum. Anche i tratti somatici della gente qui sono cambiati, in questo ultimo paese della valle, prima del Penzi La. Non sono più i volti ovali della Suru Valley, ma più rotondi e richiamano il tipo cinese. Questo posto è desolatissimo e in un primo momento mi sento deluso. È battuto dal vento e fa freddo. Un enorme pianoro ghiaioso, senza coltivazioni, chiuso da una corona di montagne tra cui ne spicca sullo sfondo una attraversata da strisce di varie tinte calde in fasce inclinate. Davanti ad essa in lontananza si scorge una macchiolina rossa posta su di un'altura isolata, il monastero Rangdum Gompa.

Quando capisco che ora, alle 12, non c'è più possibilità di spostarsi da qui per oggi, prendo una cameretta in una casa tibetana con il tetto piatto coperto da uno strato di rami. Poi mi incammino verso il monastero. L'autista di oggi, che già va da quella parte, mi prende a bordo, e salgo con un po' di dispiacere per non guadagnarmi lo spazio poco a poco e sentire su di me la fatica dello spostamento.

Dall'alto della collinetta su cui sorge il monastero si ammira imponente quella montagna a strisce che mi aveva già colpito da lontano. Ora la trovo di una bellezza sconvolgente. Nella luce inclinata del tardo pomeriggio risalta in tutto il suo incanto. Anche l'estesa pianura di ghiaia alluvionale solcata dai rivoletti in cui si divide l'acqua nell'incertezza del piatto fondo valle è affascinante, soprattutto con le chiazze di luce che trapassano dalle nuvole in movimento e si spostano illuminando come l'occhio di bue di un palcoscenico, ora questa zona, ora quell'altra. È un posto di ispirazione mistica.

Mi viene in mente la ruota della preghiera che gira ed esprime il tempo buddista in cui ogni evento presente è eterno poiché è legato dai fili di una rete infinita di cause ed effetti al passato e al futuro. Un tempo senza un'origine né una fine, dove ogni avvenimento deriva da uno precedente ed è causa di uno futuro. Proprio come si coglie dall'eternità di questo posto.

ImageUn giovane monaco mi mostra il monastero, mi offre un tè. Poi facciamo strada insieme verso le case di Rangdum separate dal monastero da un'immensità vuota.

Mentre sto sistemandomi in camera, con la porta aperta, si affaccia una anziana signora australiana, che dice di non sopportare più la confusione nella casa dove è alloggiata dopo che sono arrivate alcune persone indiane con un cane che abbaia in continuazione. Mi chiede asilo e le dico che può stare a dormire sui cuscini in un angolo, mentre io occuperò quello di fronte. Lo spazio non manca, in questa bella stanza luminosa e accogliente.

Passo la serata alla locanda, che ha per tetto una tenda di tela e il pavimento di terra battuta. Conosco uno spagnolo, Albert, anche lui bloccato qui, ma senza fretta visto che rimarrà in India per altri quattro mesi. Mangio dei biscotti con il tè – non potrei proprio farcela a trangugiare un altro piatto di riso e legumi. Poi si fa buio, accendono una fioca lampada e rimaniamo lì a parlare.

Albert mi deve accompagnare verso casa con la torcia perché si è fatto così buio che non saprei proprio da che parte dirigermi. Anzi, dopo che mi ha lasciato davanti alla casa per tornare al suo alloggio, riesco a confondermi di porta e cerco di entrare in quella del vicino, nonostante una donna si stia sbracciando sul terrazzino e gridando improperi. Finisco diretto in un ovile.

Anche a casa, una volta arrivatoci, si prepara un'altra scena comica. Il bagno è come quello che ho visto al monastero, cioè due buchi nel pavimento. A dire il vero non si capisce la ragione di questo sdoppiamento e rimango molto perplesso su quale sia da usarsi. Non c'è acqua corrente né elettricità. Porto quindi una candela, ma per un respiro un po' più profondo, si spegne… Sono preso da un attacco di risa solitarie e devo uscire dal bagno e ritrovare la stanza a tastoni.