Prima tappa nella Suru Valley

ImageUna decina di minuti prima che suoni la mia sveglia nuova di zecca, sono già in piedi e in pochi minuti arrivo all'incrocio dove, come mi avevano promesso, trovo il pulman pronto. Lo stanno ancora caricando, così ho il tempo di fare colazione con una tazza di tè e un fagottino di pasta fritto, ripieno, pare, di un ragù piccante di verdure e piselli.

Il mezzo parte carico di persone e anche di merci. Ammiro meglio la bellezza della gente intorno a me, soprattutto dei più giovani, dai visi puri e i tratti aggraziati. Due ragazzini, che devono essere fratelli, sembrano due angioletti. Le fanciulle, fin da una tenera età con il capo coperto di un leggero velo delicatamente posato sui capelli, mostrano lineamenti di una bellezza singolare. Sono davvero meravigliato. Le mani delle persone più mature rivelano i segni del duro lavoro manuale.

A una fermata compro mezzo chilo delle albicocche, piccole ma saporite, di qui. Il gusto della frutta che ingoio va di pari passo all'incredibile gusto che provo nell'addentrarmi nella Suru Valley, il cui paesaggio si fa sempre più bello e interessante, incontaminato, dopo aver passato le estese basi militari che presidiano questa zona sensibile di confine.

Si tratta di una valle musulmana abitata da una popolazione convertita all'Islam solo qualche secolo fa, ma ho notato (come anche a Srinagar d'altronde) una certa apertura mentale dimostrata da fatti esteriori come il codice vestimentario non troppo castigato o la possibilità di contatto anche fisico tra me e le donne sedute sul mezzo pubblico.

Arrivo a Panikhar poco prima di mezzogiorno e mi rendo conto che sarà ben difficile continuare la strada come mi avevano ottimisticamente prospettato. Vorrei proseguire per Rangdum per spezzare così in due parti simili il lungo percorso fino alla remota regione dello Zanskar che dista da Kargil ben 245 km. Più eloquente della distanza è la durata di questo viaggio, lungo oltre 12 ore di marcia ininterrotta su strade quasi tutte sterrate e malconce, che prevede l'attraversamento del passo Penzi La a 4.400  m di altitudine.

Faccio comunque un disperato tentativo, tornando dal paese al posto di polizia che si trova 5 km indietro e aspetto con i simpatici poliziotti per un paio d'ore, ma poi mi devo rassegnare. Non è poi una tragedia: cercherò di arrivare domani fino a Padum in un unico spostamento per recuperare. Ripercorrendo la strada verso il paese, un ragazzo mi avverte di recarmi al posto di polizia fin dalle 5 del mattino se vorrò trovare un mezzo. Svegliarmi prima dell'alba sembra essere il mio destino, ma se questa è la condizione per andare avanti, non ho scelta.

In realtà non mi rendo conto di quanto la mia speranza sia lontana dalla realtà…

Mi siedo al bar del villaggio per fare merenda e leggere un po' mentre un gruppetto alle mie spalle sta chinato sopra un giornale scritto in urdu e lo legge commentando le notizie. È un posto tipico, fatto di legno rustico. Un fascio di luce solare entra dalla porta e dalla finestra, che deve essere l'unica fonte di luce naturale durante il rigido inverno.

Poi gironzolo tra i bellissimi campi che giungono fino al fiume sfruttando la terra coltivabile del fondo valle fatto di detriti fertili. Il  loro verde rigoglioso e il giallo dorato delle spighe mature contrasta con le brulle montagne al di sopra. Sembra una bellissima oasi nel deserto, ma se lo sguardo si spinge appena più su, si può indovinare la sagoma, oggi un po' incappucciata dalle nubi, delle immani cime del Nun e del Kun, i gemelli himalayani di oltre 7000 m da cui scendono i rispettivi ghiacciai e splendenti coltri di neve sfaldate e pericolanti. Qui sono a 3000 m, ma ho vinto il male di montagna che avvertivo ieri sera.

Ceno nella casa dove alloggio in compagnia del simpatico proprietario che conversa piacevolmente con me. Fantastico di passare qui giorni del durissimo inverno quando il gelo ricopre per 4 mesi le pianure ora verdeggianti e le montagne aspre e le giornate  più corte scandiscono il tempo su meno ore di luce. Le case appena riscaldate offrono un riparo indispensabile ai corpi imbacuccati di spessi strati di indumenti, ma incalliti al freddo.