Un incontro

Il tempo piovigginoso di stamattina mi trasmette flemma. Rallenta l'inizio della giornata e quando arrivo alla torre del tamburo, ancora in balia della calma che mi ha pervaso, mi sento in aperto contrasto con l'andirivieni di gente e il trambusto del traffico che passa da questo punto nevralgico della città. Incurante, mi siedo su una panchina e studio la direzione da prendere.

Nemmeno il giovane accanto a me sembra vittima della fretta. Sarà per questo che mi rivolge la parola con una domanda di occasione. Poi la conversazione prende una piega interessante perché trovo in lui trovo la possibilità di scandagliare un tema che mi incuriosisce: capire come la gente di questo paese riesce a conciliare la modernità dirompente con il suo passato millenario.

Non sono del tutto sorpreso quando dà libero sfogo al suo disagio. Da un decennio a questa parte, confessa, uno sviluppo esageratamente veloce sta sottoponendo il paese a una grande tensione. Si tratta di una crescita più imposta che naturale: il governo, interessato a raggiungere determinati risultati, si comporta come l'addestratore che fa esibire la sua bestia in un impressionante spettacolo, ma la sfinisce e la fa crollare stremata. Risponde pienamente alla logica dell'operazione di facciata, mianzi, così cara alla cultura cinese. Tutto pur di apparire nel modo migliore, non perdere la faccia.

Ma non è possibile che l'enorme popolazione mantenga il passo di questa crescita esasperata e per di più interiorizzi modelli mediati dall'estero (dagli Stati Uniti, Europa, Giappone). Il progresso non soddisfa il mio interlocutore, come non soddisfa i molti cinesi che rimangono esclusi dal benessere, incapaci di comprendere e di beneficiare di tante novità.

Ma ancor più grave è il problema politico, nella misura in cui il governo dell'unico partito è totalmente scollato dalle necessità della gente. Molte cose sono migliorate dai tempi della dittatura totalitaria, ma ancor oggi mancano tante libertà e la gente è stanca.

«Ma i giovani mi sembrano indifferenti ai problemi della politica», azzardo. «Anzi, vedo che la gente si accontenta e si compiace della modernità che ovunque avanza nelle città cinesi.»

Ma lui nega: «Molta gente è insoddisfatta. Ci sono molti studenti che non sono d'accordo.»

«Ma cosa non va? Nelle città moderne c'è tutto, cosa manca?»

«Tutti questi negozi e centri commerciali alla moda sono solo la vetrina. Nascondono quello che sta succedendo sul piano sociale nel retrobottega. Il divario tra le classi abbienti e quelle non abbienti sta aumentando paurosamente. Sarà una fonte di grandi tensioni sociali.»

Dietro le spesse lenti, il suo sguardo è quello di un'anima frustrata. Nella sua visione del futuro c'è già molta disillusione. Sa che i buoni posti di lavoro saranno assegnati a chi ha guanxi, relazioni o raccomandazioni. Se vorrà lavorare nel giornalismo dovrà piegarsi alle regole della censura, soffocando la sua sete di verità e la sua intelligenza critica. Inoltre, è conscio che l'insegnamento universitario che sta costando tanti sacrifici alla sua famiglia non sta sviluppando tutte le sue potenzialità. Questo giovane ha solo 20 anni.

Tuttavia le colpe non le butta tutte addosso al regime attuale. In definitiva questi mali che avverte e che forse tarperanno le ali ai suoi sogni sono la versione attuale di un sistema ereditato dalla Cina imperiale. Allora come ora, le conoscenze erano la base per affermarsi nella società. L'accesso alla classe dei mandarini era sì regolato da selezioni competitive che, rispetto ad altri sistemi, garantivano possibilità a tutti, ma si sa, ovunque il sapere è il privilegio di coloro che possono permettersene il lusso. Dopodichè quello che contava era la rete di rapporti sociali.

In queste parole impregnate di pessimismo, o forse di realismo, si delinea ai miei occhi un'immagine diversa, di una Cina del XXI secolo, così proiettata nella modernità, e tuttavia affardellata da mentalità antiquate che si radicano nella sua cultura millenaria. A questo si aggiunge il problema politico, di un governo che soffoca ogni anelito di libertà e di espressione, e getta al popolo polvere negli occhi regalandogli il "benessere" di cui pochi godono realmente e il "progresso" che sta sfigurando il paese e cancellando la sua storia.

Mi viene alla mente un altro breve dialogo che mi aveva raggelato. Stavo viaggiando in taxi con degli amici. Avevo passato la giornata nel traffico soffocante di Pechino e dissi scherzando a un laureato in legge che invece di perdere tempo tra gli arzigogoli legali avrebbe potuto rendere un migliore servizio al suo paese studiando modi per ridurre l'inquinamento. Lui replicò: «Sarebbe ben più utile combattere il sistema politico. Quello fa ben più morti dell'inquinamento». Furono parole così amare che mi lasciarono muto.