Sulla strada dei contrabbandieri

Il lago Van6 agosto - Ieri sera Dominic mi raccontava con suo fare compiaciuto le prodezze che ha compiuto: dormire col sacco a pelo sulla piramide di sassi in cima al Nemrut Dagi (che naturalmente è vietato scalare) e alcuni anni fa arrampicarsi sulla piramide di Cheope a Giza. Gli ho detto che è più megalomane del re Antioco che ha fatto costruire il Nemrut!

Siamo partiti quindi per la fermata dei pulmini e ci siamo bevuti un tè chiacchierando nell'attesa di un'ora. Troviamo il castello chiuso, ma mentre cerchiamo di penetrare dalle mura diroccate vediamo che alcuni turisti hanno ottenuto la chiave dalla polizia e stanno entrando dal portone. Dopo la visita ci riportiamo sulla strada e nella discesa incontriamo Mariangiola e Ibrahim cui avevo lasciato un biglietto con i miei programmi per la giornata. Vorremmo visitare un altro castello che si trova sul percorso del ritorno, ma non ho molto tempo dato che il pulmino per Dogubeyazit parte alle 15.

Abbiamo la malaugurata idea di fare autostop e ci prende un camion che dopo pochi chilometri devia dalla strada principale per prendere alla sinistra del lago artificiale. Capiamo che vogliono evitare i gendarmi sulla nazionale e ci chiediamo incuriositi che sorta di merce trasportino in provenienza dall'Iran. Inizia un'ora di lentissimo percorso su una strada sterrata, piena di buche che fanno sbalzare in continuazione il mezzo, sballottando anche noi senza tregua. Ma quello che è peggio, molto peggio, è che i tre membri dell'equipaggio non ci lasciano un attimo di respiro, gridandoci nelle orecchie, ridendo, vociando, scherzando, indicandoci le cose più banali (guarda: una casa, una mucca…) naturalmente in curdo, e senza mai stancarsi.

Questa euforia deve essere dovuta a qualche eccitante. Ci hanno detto che trasportano caffè, ma se è quello che hanno bevuto, ne devono avere ingerita una quantità spropositata. A una stazione di rifornimento fanno salire un altro ragazzo e anche lui si unisce ai tre adottando lo stesso comportamento. Ora abbiamo quattro tormenti addosso, oltre a essere stetti in posizioni assurde nella cabina del camion. Passiamo sotto l'altra rocca che volevamo vedere, ma il tempo che abbiamo perso sulla strada dei contrabbandieri, come l'abbiamo battezzata, non mi permette di sprecare un minuto e dico deciso: "Portateci a Van!".

Il castello di HosapArriviamo alle 14.30 dopo due ore di sofferenza. Non riesco quasi a stare in piedi e sono frastornato, ma mi tocca affrettare il passo, poi addirittura correre sotto il sole impietoso per arrivare alla fermata dei dolmus e bloccare il mezzo, in attesa di recuperare il bagaglio dall'albergo. Mi dicono che partirà alle 16, quindi ho tempo di magiare due frutti, recuperare lo zaino e congedarmi da Dominic. Ritrovo anche Mariangiola e Ibrahim che decidono di partire con me.

Costeggiamo nuovamente il lago di Van di un azzurro irreale per poi seguire la strada che si avvicina ulteriormente al confine con l'Iran, distante da Dogubeyazit solo 35 km. Colate di lava nera scendono dalle pendici di antichi vulcani, poi verso la fine dello spostamento intravedo l'imponente Ararat che si ingrandisce sempre più e si scopre infine anche dalle montagne ai suoi piedi per prendere tutta la sua maesotistà.

Scendo in questa cittadina di frontiera dove circolano commercianti viaggiatori, prodotti iraniani e cinesi e, avvertito dall'esperienza di oggi, facilmente anche contrabbandieri. Sono esausto e mi trascino con passo lento per le vie, carico dello zaino, verso l'albergo. Ceno con Mariangiola e Ibrahim su una terrazza al primo piano che dà sulla strada, poi passo un po' di tempo a leggere per infine ritirarmi in camera e fare il bucato in un secchio che scovo in un ripostiglio del mio piano.