Alla scoperta della valle

ImageMi alzo prima della sveglia che doveva suonare alle 6 e vedo la giornata già luminosissima che mi invita a partire subito. Sono eccitato per questa bella camminata, ma mi sforzo di aspettare un poco per fare la colazione.

In realtà ho fretta di partire perché voglio scoprire subito questo posto meraviglioso. Inoltre, essendo oggi giorno di mercato in un paese su per la valle, ci sarebbe probabilità di trovare trasporto per il ritorno per la strada carrozzabile, ma i furgoncini fanno servizio solo al termine del mercato. Poi non troverò più niente e dovrei rifare tutto il tragitto a piedi.

Parto alle 7.30 e saluto Brahim che vedo arrivare con il mulo e fa un ultimo tentativo di essere ingaggiato. Mi dirigo al vecchio villaggio al di là del fiume passando tra tanti bambini che stanno andando a scuola. Ma mi accorgo di essere io a non aver fatto bene i compiti perché ho lasciato in camera la lista delle tappe che devo attraversare. Accidenti!

Ormai non ho voglia di ritornare e poi ho ancora in mente il primo nome che è al Hot, che vuol dire pesce in arabo – chissà cosa c'entra? Sono però fortunato perché mi ferma un giovane che dice di avermi visto ieri a Kelaa. Anche se non ricordo affatto (e non mi interessa minimamente), ne approfitto per fargli ripetere la litania dei nomi. Ora che li ho ripassati, per non dimenticarli, cerco un trucco di memorizzazione.

Image Agouti, la seconda tappa dopo il Pesce, suona come agotado in spagnolo, ovvero spossato, come facilmente sarò questa sera al termine della marcia, soprattutto se non troverò un mezzo di trasporto per il ritorno. Alemdoune, l’ultima tappa, sembra invece un verlan di bidoun alam in arabo, senza dolore, e mi auguro veramente sia così per le mie gambequesta sera. Posso partire tranquillo!.

A un bivio incontro il bel bambino Youssef con un sacco in cui sta riponendo i boccioli di rosa. Pariamo un po' e mi fa prendere con lui il sentiero per al Hot sulla sponda opposta alla pista carrozzabile che avrei imboccato. Grazie davvero, Youssef, per questa indicazione! perché questo sentierino di terra è meraviglioso.

La marcia è un po' lenta per via della sua strettezza e a tratti si riduce a un esile binario di terra tra i campi coltivati a un livello inferiore; ora è ombreggiato, ora sotto i raggi del sole tiepido; ora si snoda accanto al tenero grano, ora tra le bordure di rosai che sconfinano con i loro rami spinosi sul mio percorso: è tutto da gustare. Youssef mi chiede se voglio passare a casa sua per mangiare il pane, ma lo ringrazio e proseguo, mentre lui sparisce per un altro sentierino.

Al Hot è un villaggio incantevole, sovrastato da una casba in ottimo stato, costruita di mattoni di fango chiaro che formano bei motivi geometrici sulle torri. Per Agouti preferisco chiedere indicazioni. Intravedo tra le piante a poca distanza dal sentiero una donna chinata al lavoro. Passato lo schermo delle foglie, saluto la donna e lei si alza, volgendosi a me. È giovane e bella, con vestiti e monili berberi. La sua figura ammantata di nero si staglia contro il verde bluastro del nuovo grano in erba. Dietro di lei altre due donne in nero decorato di ricami, anziane e con il mento tatuato di blu, si volgono verso di me. Questa scena mi rimane impressa a lungo, forse perché l'ho vista crearsi nella sua naturalità senza che me l'aspettassi. Con un poco di sorpresa per la mia presenza solitaria da queste parti, la giovane mi risponde confermando la direzione e restituendomi un sorriso accennato.

Image Anche ieri sul pulmino una ragazza berbera curata di tutto punto aveva colpito la mia attenzione. Il suo bel viso giovanissimo era racchiuso da un velo colorato che la faceva splendere ancor più. Il sorriso candido, lo sguardo modesto rivolto per lo più a terra, di una che sa di essere ammirata ma non è sfacciata da farlo notare con arroganza. Una leggera peluria scuriva appena i fianchi delle guance, una bellezza veramente naturale. Portava un cartone di uova che ha messo sotto i sedili, cosa che mi ha divertito e mi ha fatto scambiare una battuta spiritosa con il mio vicino sulla possibilità di finire la corsa con una bella frittata.

Di paese in paese, arrivo al punto in cui si apre l'imboccatura della gola. Qui il sentiero si perde, ma chiedendo ai contadini riesco ad arrivare dove le due pareti rocciose formano il corridoio per cui dovrò risalire. Tutto lo spazio è invaso dall'acqua del fiume e non vedo altra soluzione che togliermi le scarpe e camminare sulla ghiaia coperta di pochi centimetri d'acqua.

Compio questa svestizione in bilico su un sasso a cui sono arrivato senza sapere come, tant'è vero che non mi fido più a tornare indietro con le scarpe ai piedi. Cadere in acqua scivolando non sarebbe un grosso problema per me, ma credo che la macchina fotografica non apprezzerebbe la mossa.

La ghiaia risulta un po' dolorosa al passo, dove non cede il passo alla melma. Non potrei continuare così per molto tempo e anche se riuscissi, la marcia sarebbe così lenta che perderei ogni speranza di trovare un trasporto per il ritorno. Fortunatamente, dopo un centinaio di metri, il corso d'acqua si tira in disparte e lascia spazio a un sentiero disseminato di tanti oleandri. Ma la traccia passa continuamente da una parte all'altra del fiumiciattolo e mi costringe a un numero infinito di guadi su pietre precarie che a volte mi tengono per miracolo. Alla fine della giornata sarò un maestro del guado.

La gola è davvero splendida, come splendide sono state tantissime viste fino ad ora sulla valle, sulle costruzioni, sulle casbe, sulle coltivazioni. Quando il corridoio di roccia torna ad aprirsi, mi preoccupo di trovare il luogo del benedetto mercato. Ma chiedendo le idee non si chiariscono molto perché le persone mi danno nomi sempre diversi. Un po' come quando chiedo la durata del tragitto che mi rimane: le stime sono le più disparate.

ImageInfine due ragazzini insistono per accompagnarmi sulla pista da cui transiteranno i veicoli di ritorno dal mercato – qui avrò più probabilità di incontrare la soluzione per il ritorno. Infatti dopo mezz'ora di attesa con questi giovani, arriva un furgoncino e mi imbarco stretto stretto tra tanti altri passeggeri che hanno comprato o venduto.

Ad Alemdoune salgono anche quattro belghe che hanno fatto un'escursione con una guida. La donna berbera seduta davanti, coperta di un leggero velo, si mette a parlare loro in francese e capto che ha parenti in Belgio, forse lei stessa ci è stata per vivere. Chi l'avrebbe mai detto che una donna dall'aspetto così tradizionale, su per queste montagne così fuori mano, avesse un lato internazionale?

Questo è un aspetto dei paesi magrebini che trovo fastidioso. Per essere alla moda il marocchino deve fare riferimento alla vecchia colonizzatrice che continua a esercitare ancora un'enorme influenza culturale su tutta la vita del paese, schiavo di una cultura e di una lingua che non sono le sue. Ricordo l'esempio emblematico dei due giovani all'aeroporto: una frase nel loro cacofonico dialetto e una in perfetto francese.

Si parla di contraddizione nella vita degli arabi trapiantati in Europa che si trovano a dover conciliare con difficoltà aspetti spesso divergenti di due civiltà. Questi problemi sono comunque già presenti nella vita quotidiana di un Marocco che si trova al giorno d'oggi a vivere un'arabità distorta, che non si potrebbe per nulla paragonare con la Siria, baluardo della cultura araba.