I mercati galleggianti

26 gennaio - Alle 6, come era stabilito, sono ad aspettare fuori dalla pensione. Dopo pochi minuti vedo appropinquarsi la sagoma della donna di ieri con un gagliardo passo di marcia e un braccio teso che dondola al ritmo della sua andatura militare. Mi fa strada fino al fiume e qui mi affida alle cure di un ragazzino che mi presenta come suo figlio.

Il sole non è ancora sorto. Mentre bevevo un caffé per colazione, in un bar che era aperto da momenti, vedevo le strade che accoglievano i primi non proprio rari passanti e il passaggio di pochi motorini in un'oscurità che iniziava a rompersi nel timido chiarore dell'aurora. Quando inizio a navigare sul fiume, il cielo si è ormai rischiarato e vedo il sole nascere in un azzurro sereno.

 

Il primo mercato che raggiungiamo è composto da tante barche di una certa stazza e si direbbe che è all'ingrosso, tra rivenditori. Scambiano la merce che è appesa all'alto palo di bambù a mo' di insegna: ananas, cipolle, ortaggi e frutti vari. Passiamo poi da un piccola fabbrica di spaghetti di riso. Solo poche persone ci lavorano, ognuna occupata alla propria postazione sotto una tettoia aperta su tutti i lati verso il giardino lussureggiante. In un recinto è ospitato anche un bel porcile dove alcuni maiali prosperano accasciati nell'ozio, non troppo distanti dal luogo di lavorazione della pasta.

La catena di montaggio è precisa ed efficace: una donna stende con pochi movimenti circolari la bianca pastella di riso su una pelle di pecora tesa e riscaldata dal vapore sottostante, avvalendosi di uno strumento che sembra una padella rovesciata. È visibilmente accaldata per effetto dei vapori. In pochi secondi il disco è cotto e tramite uno utensile di bambù viene raccolto e riposto ad asciugare su un graticcio all'aria aperta. Verrà poi tagliato in spaghetti e fettuccine.

Raggiungiamo un secondo mercato, più piccolo e composto stavolta di imbarcazioni a remi. Qui il barcaiolo compra una succosissima ananas, la sbuccia ad arte con un coltello e me la porge lavorata come fosse un cono di gelato, dove l'impugnatura è ciò che resta del ciuffo verde. È deliziosa. Poi compra degli strani frutti dalla carne gelatinosa che si scavano col cucchiaio.

La via del ritorno passa attraverso canali secondari che solcano questa terra; vie d'acqua, nemmeno tanto strette, ma che in confronto a quelle principali, per non parlare dei veri e propri rami del Mekong, sono un'inezia.

Di ritorno alla città è ora di partire per Vinh Long. In due ore si coprono solo 33 km di strada e la lentezza è dovuta all'attraversamento (quello di ieri) del grande fiume sul traghetto. A Vinh Long mi faccio portare subito in moto all'imbarcadero per An Binh, l'enorme isola nel fiume. È già l'ora del tramonto, le acque ora rosate sfumano la sagoma del gigantesco ponte sospeso in lontananza.

Sull'isola non ho tempo di fermarmi ad ammirare il tramonto, come mi piacerebbe fare. Devo trovare una sistemazione per la notte e non so assolutamente dove andare. So solo che esistono alloggi presso gli abitanti, ma non so dove e non riesco a chiedere indicazioni. Rifiuto le esose richieste dei motorini all'imbarcadero e mi incammino a piedi convinto di trovare qualcosa sulla strada.

Non ho idea di quanta sia la distanza da percorrere, né dove andare precisamente, ma è pur vero che la stradina asfaltata che partiva dall'imbarcadero finora non si è diramata. Tuttavia questa incertezza mi pesa molto, soprattutto ora che inizia la notte. Arrivo a un primo gruppetto di case preceduto da un'insegna, ma sembra che non ci sia niente per me.

Ritornano i motociclisti e si ripropongono indicando una lunga distanza, ma continuo a rifiutare. Vado avanti. Quando capisco che è impossibile continuare così, decido di chiedere uno strappo a qualche moto di passaggio. Ma in questa attesa il tempo passa e continuo a camminare, ora accelerando il passo. La notte sta calando minacciosamente, le sagome della vegetazione, che prima si stagliavano nette contro un cielo colorato a pastelli, sono diventate losche forme poco definite, su uno sfondo grigio. Se alzo lo sguardo vedo già le stelle fare capolino oltre questi rami che sembrano imprigionarmi in una trappola di oscurità.

Mi trovo su un'isola del Mekong, non so dove andare e soprattutto sto rischiando di perdermi, ma non ho altra soluzione che andare avanti con lo zaino pesante sulle spalle. Ora le foglie di banano e di altre piante mi fanno una galleria ancora più scura sopra la testa e mi pare di essere inghiottito in un tunnel che non so dove porti, almeno fino a quando non sorgerà il sole di domani. Ma che lunga sarebbe una notte di attesa in questa terra sconosciuta! Mi faccio trascinare in una spirale di pensieri che con un attimo di logica razionale cerco di frenare, dicendomi che non devo lasciar loro libero corso. Ma forse dovrò dormire all'addiaccio o chiedere asilo a qualcuno…

Mi accosta un giovane che vorrebbe portarmi in moto, ma non capisco dove e ringraziandolo proseguo sulla mia strada così incerta. Penso al piano di emergenza: tornare all'imbarcadero per Vinh Long e aspettare lì tutta la notte. Tuttavia dopo questa lunga attesa una moto si avvicina, si ferma e mi offre di portarmi. Accerto che ci capiamo e parto con lui lasciando lì tutto il castello che aveva costruito morbosamente la mia mente.

Percorro parecchia strada, canticchiando dal sollievo. Ora cavalco come passeggero su un mezzo che rischiara con il suo fanale lo stretto nastro di asfalto che si snoda per l'isola. Non sono più il viandante indifeso, affaticato e oberato di un grande peso sulle spalle che veniva prima illuminato in lontananza e poi accecato dai fari delle moto di passaggio. Arrivo a una bellissima casa di legno illuminata e sento che di aver raggiunto il porto dopo essere stato praticamente un naufrago.

Ripercorro dopo una squisita cena un tratto della strada, guardando ancora quel cielo che prima mi pareva l'unica certezza da sotto le foglie nere che mi inghiottivano e che lo nascondevano in parte. Se già prima era il cielo stellato della notte, che offre un orientamento quando le tenebre rendono l'uomo indifeso e nella necessità di un riparo, ora è per me ancor più un cielo amico e fatato. Sembra, nell'euforia che mi ha causato la felice conclusione di questo episodio, che ogni stella lasci una scia di scintille che si disperdono in chiome dorate di comete sempiterne.

27 gennaio - Con una bici a noleggio mi dedico a esplorare questa grossa isola di frutteti e coltivazioni, isola nel fiume a sua volta solcata da canali che potrebbero essere chiamati fiumi. La stradina principale si snoda in un lungo percorso fino all'imbarcadero, ma da essa si diramano tanti altri viottoli sterrati che si addentrano nelle coltivazioni e raggiungono i poderi e le fattorie, sempre costeggiati da un canale.

È questo il regno della frutta. Ceste piene di rambutan rossi appena colti occhieggiano sotto l'ombra delle loro piante. Da un altro albero sgorgano jack fruit in diversi stadi di ingrossamento: sembra quasi una sorgente da cui questi frutti trasudano come gocce di resina che vanno vieppiù ingrossandosi di qualche secrezione del tronco. Passano due uomini mingherlini in camicia bianca e mi salutano con un sorriso, poi chiedono di essere fotografati mentre si tengono abbracciati per le spalle e ridono beatamente.

Ritorno a Vinh Long e qui gironzolo per il mercato dopo aver lasciato lo zaino a una venditrice di frutta che accetta di tenermelo. Interessanti sono le bancarelle che vendono la pasta di riso, in disparate varietà, formati e qualità.