Epilogo al Mar Morto

12 aprile - Oggi è l'ultimo giorno in Giordania e abbiamo deciso, io e Layla, di approfittare dell'invito di Nimr per andare al Mar Morto. Lui insisteva per andarci nel pomeriggio per via del calore minore, ma noi preferiamo anticipare per meglio sfruttare la giornata. Inoltre, partendo per l'Italia durante la notte, preferisco non ridurmi all'ultimo istante con possibili imprevisti. Lo chiamo dalla stazione degli autobus di Amman dicendo che se non è d'accordo per scendere al Mar Morto di mattina, non importa; scenderemo da soli con i mezzi pubblici e passeremo a salutarlo sulla strada del ritorno. Ma lui, che parla con la voce di chi è appena stato tirato giù dal letto, insiste per portarci con la sua auto e ci diamo appuntamento a Salt. Così prendiamo il pulmino e arrivati lo richiamo dal primo negozio dove subito ci raggiunge, fresco sbarbato.

Gli presento Layla e scendiamo subito verso la profonda depressione lungo una costante discesa che percorre il Wadi Shu'aib. In basso la temperatura è più alta e Nimr ci propone di portarci innanzitutto al Maghtas, il luogo del battesimo di Gesù. Qui dobbiamo prendere un biglietto di entrata, ma Nimr cerca di infiltrarsi gratis.

Quando invece gli chiedono il biglietto si intestardisce e scende contrariato dal pulmino che porta i visitatori al fiume Giordano dicendo contrariatissimo che ci aspetterà lì. Ci ritroviamo quindi io e Layla con altri turisti a compiere questa gitarella verso il rigagnolo d'acqua fangosa che separa le due fatidiche sponde, in una vegetazione di palude con canne e arbusti ariosi che non riescono a spezzare il sole e ad alleviare l'umida calura. Dopo circa un'ora ritorniamo all'auto e troviamo Nimr ancora più alterato e accaldato, pronto per ripartire. Immediatamente ci mettiamo in strada per il Mar Morto dove sono curiosissimo di provare a nuotare.

Dobbiamo percorrere una lunga distanza lungo la sponda prima di arrivare al luogo che conosce Nimr, ossia dove si gettano nel mare acque calde e soprattutto dolci, utili per sciacquarsi dall'acqua estremamente salata. Ci svestiamo e scendiamo la scarpata fino alla riva, costeggiando il rivolo di acqua termale invaso da cartacce e rifiuti. Diversi pulmini di gite scolastiche hanno sostato qui e i rispettivi marmocchi sono già in acqua. Nimr aspetta fuori dall'acqua mentre io e Layla ci avventuriamo pian piano nel mare. L'acqua è leggermente viscida e si vedono striature di densità differente che disegnano ricami trasparenti nella profondità. Nuotare e galleggiare è divertentissimo. Layla però deve subito uscire perché uno schizzo d'acqua le entra in un occhio e le brucia da morire. Io sguazzo qua e là tra le varie temperature dell'acqua salata che si mescola a quella dolce e calda. Non passo inosservato ai bambini, naturalmente, che fanno gruppo attorno a me, presto raggiunti dai due maestri.

Ho perso di vista i miei due compagni, però. Quindi per non farmi aspettare risalgo la costa, e trovo Nimr in uno stato spaventoso: sudato, affannato, la testa su un avambraccio steso sul poggiatesta del sedile dell'auto. Sembra in agonia. Dice di aver mal di testa e di soffrire molto il caldo. Inoltre è affaticato per la brevissima discesa e salita dall'auto alla riva, colpa del fumo, mia congettura. Ma quando gli chiedo quante sigarette fumi al giorno, mi stupisco che sia ancora vivo: fuma 4 pacchetti!

A questo punto, non mi sembra il caso di indugiare, anche se rimarrei ben più a lungo in questo posto singolare. Ci rimettiamo in strada ma declino l'invito a mangiare perché non vorrei approfittare della generosa ospitalità, anche se il desiderio di Nimr era forse di riposare o riempirsi lo stomaco. Questo particolare mi sfugge e mi accorgo troppo tardi della sua esigenza.

In generale gli arabi quando invitano lo fanno “tutto compreso” e non accettano che ci si divida le spese. Avrei potuto per esempio invitarlo io a pranzo, ma per lui sarebbe stato come mostrare che la sua ospitalità è inadeguata e deve essere supplita da una mia iniziativa. Per questo ho preferito rifiutare.

Così arriviamo al punto di partenza dopo oltre mezz'ora di auto in un silenzio grave dovuto al malessere di Nimr. Io sono stanco al punto da addormentarmi; le palpebre si socchiudono e i pensieri partono da un punto reale per terminare in fantasticheria preonirica. Ma resisto per non essere scortese. Non so bene cosa aspettarmi adesso, sto solo a vedere cosa succede.

Arrivati a Salt passiamo dai negozi di Nimr, una polleria e un fruttivendolo, e raccogliamo in auto un suo amico, Khalid, per risalire verso casa.

Qui ci sediamo prima in soggiorno, poi sulla terrazza dove veniamo raggiunti dalla anziana nonna. Poi, pian piano, spuntano le facce dei figlioletti che ci spiano e ci osservano da dietro le porte e fuggono ridacchiando imbarazzati dalla nostra strana presenza. Sono carinissimi.

Non vogliamo interrompere l'ospitalità, ma incominciamo a preoccuparci per la difficoltà che potremmo incontrare nel ritornare con i mezzi pubblici oltre una certa nella temperatura moderata del suo paeseora. Nella temperatura moderata del suo paese adesso Nimr ha recuperato le solite energie e parla e scherza come d'abitudine. Vuole sapere dalla coreana circa la loro usanza di mangiare i cani che razzolano, nella sua idea, e mangiano porcherie per le strade. Naturalmente l'islam vieta ciò.

Riusciamo infine ad alzarci da tavola dopo vari succhi di limone e tè, ma Nimr insiste per portarci a Fuhais e mostrarci il paese a maggioranza cristiana. Nell'uscire mi stacco l'orologio dal polso e lo regalo a Mu'min, questo bel bambino dagli occhi vispi che mi scrutava incuriosito e intimidito. Saliamo ancora in auto, io e Nimr davanti, Layla e Khalid dietro. Nimr ha recuperato anche la voce stentorea con cui mi strombazza nell'orecchio informazioni disparate sui luoghi che passiamo. A Fuhais, che definisce antica, ci mostra le chiese che già avevo visto ieri e secondo me hanno tutto fuorché l'antico. Addita con un tocco di invidia le ricche ville di cristiani emigrati all'estero (per costoro sarebbe più facile procurarsi il visto).

Ci lascia al sobborgo di Swelah alla fermata del bus per 'Abdali. Le mie orecchie possono finalmente riposarsi dopo quel continuo bombardamento acustico e come se non fosse sufficiente, in auto, c'è perfino stata una accesissima conversazione telefonica, forse con la moglie, che è finita in una lite a squarciagola. La situazione era comica e mi sono dovuto controllare al massimo per non fare brutta figura.

Ma non è tutto. Layla, appena scesa dall'auto, tira un sospiro di sollievo per una ragione ben più valida della mia. È stata oggetto di attenzioni indesiderate da parte del suo vicino di sedile, mentre davanti noi parlavamo. Toccheggiamenti vari che ha cercato di evitare scansandosi su un lato del sedile. Ma mentre una mano di questo schifoso individuo si allungava verso le cosce di Layla, peraltro vestita molto pudicamente in sobri pantaloni, con l'altra questo maiale palpeggiava le sue parti intime. A dire la verità ad un certo momento ho sospettato qualcosa, ma ho scacciato il pensiero, dicendomi che doveva essere una preoccupazione infondata ed esagerata, frutto della mia fantasia. Altroché! Era proprio quello che stava succedendo… roba da pazzi.

Io e Layla parliamo di questa strana società che soprattutto in città vive una crisi fortissima, dilaniata com'è tra la modernità e la sacra tradizione sostenuta e giustificata dalla matrice religiosa. Layla è stata invitata a feste in cui le ragazze hanno fatto danze spinte e provocanti (scimmiottando spettacoli a luci rossi visti in televisione) in una stanza, rinchiuse e segregate dai ragazzi. Quando qualche uomo doveva passare per questa stanza, bussava e tutte correvano a nascondersi dietro veli o tende. Il rapporto tra uomo e donna è improntato da ipocrisia e la repressione sessuale pare abbia fatto esplodere il fenomeno dell'omosessualità giovanile, ma non solo quella.

Nessuno ha creduto che io sia venuto con Layla a fare una passeggiata in amicizia, en tout bien tout honneur. Tutti avranno immaginato cose turche tra una donna lontana da casa e in viaggio da sola (inaudito) e un uomo, che per definizione è in cerca di avventure.

Ho paura quando sento parlare di turismo arabo, perché dietro si nasconde spesso un fine poco onorevole, constatato nel caso dei sauditi a Damasco in cerca di giovinetti di entrambi i sessi o nel movimento di taxi libici a Tunisi nei paraggi dello schifosissimo quartiere delle prostitute.

Il problema sta nella stessa struttura sociale che non può sopportare il peso di una modernità la quale prepotentemente si impone come modello da seguire e ammirare. Sento spesso accuse sul degrado dell'Occidente, dove la donna, dicono, è una merce, ma qui il problema si ripropone in altre forme e dietro le quinte. Stesso programma.

Rientriamo in albergo dove incontriamo 'Atif che ha definitivamente deciso di ritornare in Egitto perdendo per sempre la paga in sospeso. C'è un sostituto che gli darà il cambio tra due giorni.

Gli chiediamo di cucinare per noi in amicizia e usciamo a comprare gli ingredienti per una pasta al ragù. Ci dirigiamo al mercato ancora in attività nonostante il buio. Gli strilloni stanno sbraitando. Ogni compravendita è accompagnata da una doverosa breve conversazione sulle mie origini per lo più.

Ma ho un pensiero per la testa: non trovo più il mio telefonino che so di aver portato con me oggi. All'albergo, dopo che 'Atif ha terminato di cucinare, gli chiedo di provare a chiamare il mio numero. La linea risulta interrotta, segno che il possessore attuale ha estratto furbescamente la mia scheda. Mi dico pazienza!

Mangiamo la buona pasta di 'Atif poi veniamo raggiunti da quel simpatico ometto palestinese che gentilmente ci offre da mangiare prima di ritirarsi a consumare il pasto in camera sua. Gli racconto del mio telefono e mi ribatte che ne ha avuti ben 3 rubati, di cui uno in moschea. La sua personalità è forte, motteggia e scherza in modo divertito e coinvolgente. La sua cadenza un po' calcata mi ricorda quella di qualche anziano montanaro o contadino bergamasco.

Quando gli dico che sto per partire, insiste per darmi un dinaro per bermi qualcosa all'aeroporto, dato che sono ormai rimasto con le monete contate. Non c'è modo di rifiutare.

Intanto con Layla abbiamo deciso di aiutare 'Atif che deve affrontare il viaggio in Egitto senza un centesimo in tasca. Gli do 20 euro e domani Layla preleverà a sua volta una somma di denaro che lo aiuterà a pagarsi il viaggio.

È l'ora degli addii. Sono le 23 passate e l'hajji mi ricorda ripetutamente con fare paterno di non fare tardi. Ci abbracciamo tutti.

Faccio il gesto di baciare la mano dell'hajji dicendogli bus idak, come vogliono le usanze, ma lui per gentilezza la ritrae e mi bacia sulle guance. 'Atif mi stringe a sé calorosamente, Layla pure.

Prendo il taxi per 'Abdali e da lì un altro per l'aeroporto dove arrivo con un anticipo di 5 ore sull'ora di registrazione per il volo. Ancora pazienza… ma ne approfitto per scrivere le mie memorie. Sono tante e intense...