Un giro per il Golan. L'addio

30 agosto -Oggi approfitto del punto di appoggio di Tabgha per fare un giro nel Golan, in arabo Jawlan. Dopo il compito quotidiano del bagno mattutino ai pazienti (che mi serve per guadagnarmi il pasto serale e un letto per dormire), prendo la bici e parto per Tiberiade con le gambe stanche da ieri. È un tratto estenuante, nonostante la breve distanza, dopo la faticaccia di ieri.

Restituisco la bici e prendo un bus per Kiriat Shmona dove entro in un centro commerciale per mangiare un panino di falafel. Mi accorgo però di non avere il portafogli per pagare e capisco immediatamente che deve essermi uscito dalla tasca dei pantaloni nell'autobus. Il ragazzo mi dice da dietro il bancone di prendere lo stesso il cibo perché devo essere affamato. Poi penserò a pagare, se potrò.

Inizio subito la ricerca alla stazione degli autobus. Dopo una certa attesa e vari colloqui con disparate persone, fortunatamente lo trovo e ritorno per pagare il debito.

Parto quindi in autostop per Mutille sul confine molto difeso con il Libano e dopo aver osservato l'ampio panorama da un belvedere scendo a piedi in una valle lungo un sentiero che costeggia un corso d'acqua, ora quasi asciutto. Il villaggio ebreo è di una freddezza glaciale, senza vita, con costruzioni che ricordano le austere seppure ordinatissime periferie tedesche. Nessuno per strada.

Si percepisce un enorme salto passando alle città arabe dove la vita è dappertutto, i bambini riempiono le strade e l'ospitalità viene riversata sul forestiero. Torno in autostop alla città e prendo il bus per Tabgha dove mangio con gli altri dopo aver aiutato nella cena dei nostri pazienti.

Addio in festa

31 agosto - Avevo detto in un primo tempo di no, ma oggi decido di accompagnare il gruppo nella gita a Tiberiade. Faranno un'escursione in barca e dopo mangeranno al ristorante. Mi preparo con la valigia per essere portato alla stazione degli autobus e quando la suora mi reitera gentilmente l'invito, accetto di buon grado.

Sulla barca, con una musica a tutto volume, balliamo e Samira dà il meglio di sé scatenandosi e battendo le mani come una cavalla pazza. Al ristorante facciamo mangiare gli handicappati prima, poi veniamo raggiunti da soeur Denise che ha portato da Gerusalemme due nuovi volontari che presteranno servizio durante il campo estivo.

Mangiamo anche noi buon cibo (pesce di san Pietro), poi mi faccio lasciare alla stazione degli autobus. Mi regalano un deodorante di ricordo ma il tempo per gli addii a tutti non c'è. Tra pochi minuti devo scendere dal pulman; nella fretta prendo il microfono e saluto tutti con un breve discorso. Mi rispondono con un applauso. Vorrei aver avuto più tempo per salutare meglio e personalmente, ma anche così è stato bello. La suora mi abbraccia e riconosco che in questi ultimi giorni ci siamo potuti conoscere un po' meglio e apprezzare.

Prendo un mezzo per Haifa e da qui per Acri dove trovo un ostello malconcio per la notte. Faccio un giro per la città e mi siedo in un locale per fumare narghilè ma non mangio perché sono sazio del pranzo. La città è punteggiata da cartelli con scritte su fondo verde esortanti alla buona condotta religiosa musulmana, ma ci sono anche parecchie chiese.

Nel bar ho una “conversazione” con un muto.. Forse una volta non avrei saputo bene come comportarmi, ma oramai sono abituato alle disabilità.

Sulla strada del ritorno vengo attratto da una musica assordante proveniente da un vicolo e mi addentro per esplorare. Come mi aspettavo, scopro che si tratta di un matrimonio e vengo invitato a sedermi. Mi offrono ottimi dolci preparati in casa, frutta e bevande. Si balla molto. C'è poi la danza simbolica del pugnale che lo sposo portato in spalla dai suoi amici brandisce e agita per aria, fodera e rinfodera. È parallela alla danza che abbiamo visto a Bet Jala con le candele accese portate dalla sposa circondata dalle parenti anch'esse con un paio di candele accese di minori dimensioni.

Torno all'ostello in punta di piedi per non svegliare i due ragazzi in camera con me.