Il bollitore da viaggio

8 febbraio. Mi sono portato un bollitore da viaggio a immersione, trovato nella cantina di casa, che doveva avere almeno 50 anni. Rigorosamente privo di qualsivoglia accorgimento per evitare gli incidenti domestici come una banale messa a terra, mi si è bruciato al secondo utilizzo mentre cercavo di scaldarmi l'acqua per un caffè. Quando l'ho fatto aprire con un cacciavite, ho trovato dentro una sostanza come bachelite carbonizzata, mentre un contatto era saltato e impediva il funzionamento. Ora sto cercando chi me lo possa saldare per rimetterlo in funzione.

Mi hanno indirizzato all'elettricista che sta lavorando in un cantiere sulla spiaggia e gliel'ho lasciato ieri sera, ma quando sono passato a ritirarlo, mi ha fatto trovare un filo accuratamente fasciato di nastro isolante, ma il contatto ancora aperto perché la punta del suo saldatore non entrava nel buco. Mi suggerisce di andare al villaggio accanto dove troverò l'esperto che mi serve, il riparatore di cellulari. Lì dovrebbero aiutarmi.

Percorro la spiaggia deserta, bagnata da ondate di acqua piuttosto fredda. Ieri sera, con la bassa marea che lasciava scoperta un'ampia zona di sabbia bagnata, si era popolata di un sacco di giovani che giocavano a calcio in due squadre. Mi sembrava impossibile che gli stessi giocatori ricordassero la loro composizione, tanto erano numerose e in movimento frenetico le persone dietro la palla che rimbalzava dappertutto.

Rispetto alla violenza dell'oceano sulla Grande Côte, qui le onde non sembrano così brutali e fragorose, ma in realtà camminando sul bagnasciuga mi trovo investito dal flusso dell'acqua che viene e si ritira: un'enorme massa che per decine di metri risale la lieve china di sabbia e, anche all'estremità della sua corsa, è ancora in grado di inondare le gambe fino al polpaccio. Chissà cosa doveva essere la forza verso Kayar, dove solo il rompere delle onde e il loro boato erano sufficienti a incutere timore.

Al villaggio successivo trovo il famoso riparatore, un ragazzo massiccio che ha cose intelligenti da raccontare. Si informa sulla mia provenienza e il mio itineario in Senegal, facendo schioccare simpaticamente la lingua per assentire come usano fare. Poi racconta che la sua aspirazione è viaggiare e vorrebbe tanto seguire le orme del fratello che vive a Napoli, ma nonostante le promesse di aiuto, in lui non ripone più speranze. D'altra parte il loro legame familiare deve essere un po' incerto, perché con un padre sposato a più donne, nemmeno lui mi sa dire quanti siano i fratelli; l'unità familiare circoscritta non è così basilare, visto che i bimbi vivono in strada e formano una comunità allargata, e in questa condivisione si sciolgono i confini che da noi sono segnati dallo spazio fisico che è la casa, dallo spiccato senso di proprietà e dall'individualismo.

Mi piace sentire dalle sue labbra carnose, che a volte prima di pronunciare le parole sono percorse da un fremito elettrico, che la sua motivazione del viaggiare non è di farsi una vita comoda, ma conoscere e scoprire, imparare. È questo l'arricchimento che gli deriva da esperienze attraverso zone di quest'Africa occidentale che ama al punto che il suo più grande desiderio è di far scoprire il suo continente, scrivendo un libro che parlerà dei suoi viaggi, e anche dell'aiuto che ha ricevuto dalle persone che l'hanno accolto da forestiero. Questo anelito di conoscenza e di completamento della personalità è caratteristico di ogni uomo curioso e intelligente, desideroso di trovare nel diverso conferma del proprio essere o magari un confronto che lo mette in discussione. E trovo in lui il senso di appartenenza all'umanità che vuole essere solidale con sé stessa, ricevere per dare, costruire ponti di comunicazione.

La sua voglia di volare, però, ha le ali tarpate dai vincoli economici che gli impone il suo stesso continente amato. Faccio finta di non cogliere troppo l'osservazione per non sentirmi fuori posto, ma la differenza tra lui e me, che mi sono permesso di venire qui in gita di piacere, è evidente. Quando ci penso, questo divario è insopportabile e io, che non frequento i ghetti turistici, sono maggiormente toccato dal confronto con la gente comune e mi sento a disagio, vedendomi come il bianco che passeggia tra gente che lavora per vivere e non sprofondata nelle comodità. La razza, con tutte le connotazioni culturali e storiche di cui siamo tutti succubi, consciamente o inconsciamente, fa apparire sotto gli occhi l'appartenenza a civiltà diverse e a continenti diversi che si situano ai due opposti della scala del benessere. Nonostante la comunicazione sia più agevole con la gente qui, mi sentivo meno diverso in Cina o in altri paesi che ho visitato.

Non devo disperare, però, sulla possibilità di sinceri rapporti umani: anche oggi mi ha telefonato il professore di arabo! Pensavo che con il fallito tentativo di incontrarci a Louga si sarebbe dimenticato di me, ma ho ricevuto una nuova chiamata, segno di una costanza che mi lascia davvero sorpreso.

La faccenda dello scaldaacqua mi riporta al villaggio di sera per ritirare il lavoro, ma neanche qui la punta del saldatore è stata abbastanza fine per il lavoro di precisione. Tento allora dal fabbro, che sta lavorando con un saldatore schermandosi gli occhi con un misero paio di occhiali da sole, cosa che mi fa temere per le conseguenze. Ma neanche qui sono in grado di fare il lavoro.

Non che fosse importante questa missione, ma ho incontrato tante persone con la scusa dello scaldaacqua, vero protagonista della giornata, per poi spaziare su altri temi che mi hanno fatto conoscere la gente e il paese.

Di ritorno sulla spiaggia, un gruppo di giovani pescatori mi chiede di prestare anche la mia spalla al lavoro che stanno facendo: sollevare una piroga per far scorrere al di sotto dei tronchi di palma che la terranno sicura all'avanzare della marea. Hanno un fare irruento e manesco, ma non per cattiva intenzione nei miei confronti, è il loro modo di fare che li fa esprimere così: il vociare alto, il contatto tra le mani e i corpi, l'espressione del volto truce, quasi minacciosa. Con loro non si parla molto in francese, ma riescono a dirmi che sono appassionati di lotta e mi indicano come campione uno di loro, un giovane guineano di statura media dal viso molto bello, come scolpito nel nerissimo ebano. Non c'è da meravigliarsi che secondo tutti è anche campione di “donne”.