Sono ospite in campagna

È sabato e a Margilon mi dicono che la fabbrica di seta è chiusa. Per la visita bisogna aspettare lunedì. Anche se devo rivedere i programmi, mi dispiacerebbe saltare questa attrattiva.

D'altra parte non so bene cosa fare: Fergana non mi sembra un posto interessante dove passare altro tempo. Viali bordati di costruzioni moderne, un grande mercato, ma non eccessivamente caratteristico. Conosco già a memoria il tratto di strada davanti all'hotel Ziyorat. Ho voglia di muovermi da qui: decido di passare un giorno ad Andijon.

 

Prendo un pulmino e in un'ora sono arrivato alla stazione di Andijon che si trova fuori città. Alla fermata della mashrutka chiedo a un ragazzo come arrivare in centro e gentilmente mi dà indicazioni. Anzi, con un suo amico che lo ha raggiunto proprio ora, mi vuole accompagnare direttamente all'albergo. Nell'entrata, che si presenta bella ed elegante, salvo poi vedere i segni del tempo una volta saliti al primo piano come solitamente accade, Laziz fa una telefonata, poi mi dice: “Ho appena parlato con i miei genitori e vorremmo invitarti a casa.” Esito, più per educazione che per convinzione e mi faccio pregare un poco, poi cedo volentieri.

Probabilmente una serata Andijon sarebbe stata la copia di una serata a Fergana, dato che anche qui la città si presenta moderna e insulsa. È risaputo che questo posto non esercita un richiamo turistico, pur essendo  conosciuto per gli avvenimenti del 2005 che hanno screditato l'Uzbekistan sul piano internazionale. In quell'anno il governo sferzò un'attacco spietato nei confronti di movimenti islamici che si erano qui costituiti, ma si sospetta che dietro questa versione la realtà fosse l'annientamento di avversari politici.

Laziz mi sta offrendo una bella occasione di vedere una famiglia in campagna e vivere da vicino non solo la sua vita quotidiana, ma sperimentare anche e soprattutto la squisita ospitalità uzbeca. Già mi sento un ospite riverito che la famiglia sta onorando per la sua presenza al suo interno. Al tempo stesso mi sento privilegiato di poter stare con loro.

Alla fermata del pulmino, dopo una ventina di chilometri di strada, ci viene a prendere in auto il fratello Farruh e un amico. Percorriamo stradine di campagna bordate di gelsi potati e di pioppi che delimitano i canali, dietro cui si estendono campi di carote. Ci lavorano tante donne, chine sulla terra intente a piantare e raccogliere. Poi attraversiamo l'ampio Canale di Fergana pieno d'acqua come un'arteria che va ad irrigare organi vitali con il sangue che trasporta.

A casa, mentre pizzichiamo un grappolo d'uva seduti sotto il portico, ci raggiunge un altro giovane vicino, che anche lui parla un po' di inglese, anche se avrebbe la tentazione di conversare in russo dato che ha frequentato la scuola russa come molti. Laziz e suo fratello, due dei quattro figli della famiglia, non parlano invece il russo. Poi facciamo due passi nelle stradine tra i campi fino ad arrivare ai bagni del paese perché avevo chiesto di potermi lavare. Non hanno voluto farmi usare un secchio d'acqua in un angolo del giardino, ma hanno voluto portarmi fino a questi bagni pubblici dove posso farmi una doccia calda di tutto rispetto. Uno dei ragazzi ha portato una videocamera e sta filmando il mio passeggiare accanto ai suoi fratelli per questi campi. Mi sembra di essere in visita di Stato.

Torniamo verso casa, dove nel frattempo sono arrivati i genitori. La mamma è molto accogliente, mi riceve con squisite formule di benvenuto in uzbeco ed è sempre molto sorridente sul suo viso rotondetto. Si mette a preparare il plov in cucina, in un calderone appoggiato sul fuoco di legna. Fuori nel cortile ha steso i soffici materassi imbottiti per formare un quadrato, al cui interno stende la tovaglia su cui colloca noci, pane, bevande.

Tra queste vivande spicca una bottiglia di latte di cavalla fermentato che assaggio, ma lo trovo impossibile da bere con il suo gusto disgustoso che pizzica la bocca. Meglio la ciotola di latte molto saporito appena munto dalla mucca piantata qui in giardino a due passi da noi.

Si sta preparando un temporale passeggero, si vedono i fulmini nel cielo e dobbiamo spostare la tavola all'interno. Poi salta la luce e rimaniamo a lume di candela, ma questo non ci impedisce di mangiare il plov che è stato servito. Siamo una decina di persone, tutti amici del mio ospite, festeggiano il compleanno di uno di loro. I genitori non mangiano con noi. Sono seduto accanto a Laziz e al suo amico che parlano inglese.

Una bella serata in famiglia e tra gli amici del piccolo villaggio, questa, ma non ho mancato di notare un lato un po' crudele nella familiarità delle relazioni che regnano in questo piccolo mondo. Passeggiando tra le viuzze si è affacciato alla finestra un uomo deforme e i ragazzi lo deridevano e volevano che gli facessi una fotografia. Forse lo facevano per essere spiritosi con me, ma io mi sono naturalmente rifiutato.

Regna un concetto molto tradizionale di società, improntata al maschilismo. Un giovane si è presentato con fierezza dicendo di avere due mogli e sei figli. Immerso come sono in questa cultura patriarcale fondata sulla procreazione mi sento spaesato. Non mi va di essere giudicato in base a questi criteri, ma so che qui non c'è spazio per altri modi di vita. Quando mi chiedono della mia situazione, mi pare più comodo mentire di qualche anno sull'età, ma senza coniuge né prole so di essere comunque fuori posto. Qui a 23 anni si deve aver già messo su casa.

Dopo cena andiamo in un locale che è negozio e bar al tempo stesso, ospitati in una stanza minuscola. Venderanno sì e no una decina di prodotti, ma il richiamo è il televisore piazzato su uno scaffale attorno a cui quattro ragazzi stanno intenti a guardare un telefilm coreano di guerrieri. Un telo divide una zona al di là, con un tavolo e alcune sedie di plastica: è il "bar" che serve anche bevande alcoliche. Mi offrono una birra fredda che bevo accompagnata dalle palline di yogurt quasi secco che accompagnano le bevande. Rimaniamo un po' in questo posto circondati da altri giovani incuriositi dalla novità della mia presenza. Poi rientriamo a casa per dormire.